La decisione non è stata facile! Ho sempre cercato di essere guidato dalla ragione, non dalla emozione e, tantomeno, dagli opportunismi.
Anche nel passato ho fatto scelte apparentemente difficili che sono state motivo di soddisfazione perchè coerenti.
Negli anni ’60, non solo sull’onda di un fervore sessantottino, si sono formate e radicate due convinzioni che sono rimaste nel mio modo di essere e che hanno caratterizzato tutte le mie scelte di vita.
La prima è stata rifiutare l’appartenenza a qualsiasi confessione religiosa. Sono ateo non per atteggiamento ma per convinzione.
La seconda è stata credere in una società caratterizzata dalla convivenza nella quale tutti hanno gli stessi diritti e le stesse opportunità e dove non esistono “disuguaglianze”.
Il mio obiettivo (o, sogno) è contribuire alla realizzazione di un sistema sociale che realizzi i valori di “Liberté”, “Egalité” e “Fraternité” (scusatemi il francesismo ma credo che il senso di laicità francese meglio interpreti questi valori con la “dichiarazione dei diritti dell’uomo” figlia della Rivoluzione Francese del 1789″).
Nel 1967 mi sono avvicinato al “comunismo” iscrivendomi alla FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana); ero convinto che il comunismo fosse il modo e il mezzo per perseguire quei valori. Ho sbagliato? Non credo.
Il comunismo ha avuto un ruolo nella modernizzazione della società che va molto al di là dei risultati istituzionali realizzati. Senza il comunismo (filosofia e non istituzione) forse saremmo lontani dalla attuale consapevolezza della gente, delle donne e, perchè no, dei diversi. Non si può condannare il comunismo ed essere revisionista con il fascismo o il nazismo. Il primo ha contribuito alla crescita della gente, i secondi hanno solo realizzato l’egoismo dei pochi. I Paesi del cosiddetto “socialismo reale” non sono rappresentativi del pensiero comunista; i loro governanti sembrano essere figli della filosofia fascista.
Non mi vergogno di avere fatto parte del popolo comunista. Ne sono orgoglioso!
Ali inizi degli anni ’70 ho scoperto Mazzini ed ho appreso un modo diverso di realizzare i diritti degli uomini. Il “Dovere”.
Mazzini scriveva: “non chiedo che rinunziate a questi diritti; dico soltanto che non sono se non una conseguenza di doveri adempiti, e che bisogna cominciare da questi per giungere a quelli.”
Questo pensiero, nella speranza di realizzare i principi contenuti nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” del 1789, mi ha affascinato, mi è sembrato l’unico modo per superare gli egoismi umani. Ho trasformato la mia battaglia politica di rivendicazione (comunismo) in quella di realizzazione dei diritti dell’uomo (repubblicanesimo mazziniano).
Per oltre vent’anni ho militato nel Partito Repubblicano Italiano, anche con ruoli significativi. Mi sono contrapposto, spesso, a Giovanni Spadolini, di cui non ho condiviso la continua mediazione e l’eccesso di protagonismo, e a Giorgio La Malfa, di cui non accettavo il compromesso opportunistico, negazione dei valori repubblicani e contraddittorio delle posizioni politiche del padre Ugo (uno dei miei riferimenti politici).
Nella primavera del 1995, dopo oltre un anno di partecipazione sofferta e contrastata al Consiglio Nazionale del PRI (dal quale sono anche stato espulso, e poi riammesso, per aver votato e sostenuto i “Progressisti” alle elezioni politiche del 1994), e prima del Congresso Tematico del luglio dello stesso anno, ho aderito al Partito Democratico della Sinistra (PDS).
Non è stata una scelta semplice. Scrissi una lunga lettera che inviai a tutti quelli che avevano condiviso le mie battaglie politiche e a quelli con i quali avevo avuto rapporti di natura personale, professionale e politica, che individuando nel PDS la continuazione del vecchio PCI, potevano anche non comprendere la mia nuova collocazione.
Nel giugno 1993, con un intervento al Consiglio Nazionale del PRI, avevo affermato che, in una nuova prospettiva politica, non si poteva continuare a fare testimonianza e, per salvaguardare il pensiero e la cultura repubblicana, bisognava sciogliere la struttura del partito e contribuire alla formazione di un movimento più ampio anche nelle sue espressioni. La diversità delle culture avrebbe, però, dovuto convergere su due punti essenziali: la laicità dello Stato e lo “Stato sociale”.
Ho deciso di aderire al PDS, convinto e motivato, dopo una profonda riflessione.
In quegli anni nel panorama di sinistra c’erano tre espressioni politiche significative.
Il Partito Popolare: espressione di una sinistra moderata, più centrista, legata al mondo cattolico che non potevo accettare essendo rimasto immutato il mio desiderio di laicità dello Stato e il mio essere ateo.
Il Partito della Rifondazione Comunista: nato dalla scissione del sciolto PCI che riproponeva le vecchie e manichee posizioni massimaliste che, già nei primi anni ’70, avevo abbandonato.
Il Partito Democratico della Sinistra: evoluzione della sinistra in una concezione moderna che valorizzando strumenti, da sempre avversati, come il capitale e il mercato, poteva creare le premesse per la crescita sociale rimuovendo le cause e le ragioni delle disuguaglianze. La presenza di una grossa componente di ex-comunisti che avevano avuto il coraggio di cambiare, dopo oltre 50anni, una posizione radicata e quasi fideistica, era sinonimo di garanzia e serietà.
Non avevo alternative; ho aderito al Partito Democratico della Sinistra. In questi anni di militanza nel Partito, dodici anni non sono pochi, sempre più si è rafforzata la convinzione di avere fatto una scelta giusta.
In questi anni penso di aver ricevuto molto più di quello che sono riuscito a dare perchè stare con questa gente, con la loro capacità di porsi al servizio di una idea, è stata una ricchezza. L’ho già espresso in più occasioni ma voglio riaffermare il mio ringraziamento per l’esperienza che mi è stata consentita in tutti questi anni. Non sarò ancora con loro nel nuovo percorso del Partito Democratico ma, sicuramente, lo sarò idealmente perchè sono certo che con questa gente potremo cambiare, in meglio, questo paese.
Il progetto dei “Democratici di Sinistra” era la naturale continuazione di un percorso iniziato dopo la “Bolognina”.
Ho vissuto con grande entusiasmo questa iniziativa che poteva essere propedeutica alla nascita di un grande partito della sinistra laica italiana. Ho partecipato all’assemblea costituente di Firenze del 1998 come rappresentante del PDS e della Sinistra Repubblicana. Un sogno che sembrava realizzarsi.
Ma i partiti della sinistra laica italiana non hanno capito, o non hanno voluto capire per puro opportunismo. Purtroppo la politica italiana è caratterizzata dai personalismi e non dalle prospettive; non è un caso che in nessun Paese esista un numero così elevato di leaders politici.
L’attuale progetto del “Partito Democratico” è più complesso.
Nei mesi precedenti ne ho sostenuto l’opportunità e la necessità per evitare di riconsegnare il Paese alla destra di Berlusconi, di Fini e della Lega. Ritenevo possibile costruire una nuova formazione politica capace di interpretare e realizzare le convergenze marcando le differenze con altre forme di espressione e organizzazione.
Mi stavo sbagliando. Quando ho aderito al PDS individuavo negli “ex-comunisti” una garanzia; la stessa cosa non è individuabile negli ex-democristiani, e questo mi ha inquietato.
Dal “Family-Day” alla attuale disputa sul cambiamento del nome delle “Feste dell’Unità”, si sono succeduti una serie di episodi e di affermazioni che esprimono chiaramente quale sarà il futuro e lo spirito del “PD”.
E’ nella cultura cattolica, e gli ex-democristiani ne sono espressione e strumento, cancellare tutte le culture diverse. Succede da 2000 anni. Rifiuto condizionamenti religiosi, e cattolici in particolare; ritengo le religioni e il cattolicesimo la parte negativa dell’umanità. Ne sono tanto convinto che, nel 2005, ho voluto marcare la mia contrarietà abbandonando anche formalmente la fede cattolica (sbattezzo).
Non è un caso che numerosi socialisti, repubblicani e socialdemocratici, dopo anni di convivenza con i democristiani, si siano collocati nella destra italiana. Nel recente congresso nazionale repubblicano, partito anticlericale per definizione che da sempre si batte per la laicità dello Stato, il segretario nazionale, nella sua relazione, ha completamente ignorato il tema della laicità; nemmeno la “mozione congressuale” ha affrontato il tema della laicità. Eppure la laicità non è mai stata in pericolo come in questo momento!
E’ l’abbraccio dei cattolici. Non ne ho paura, ma preferisco tenere le distanze.
Quali sono le perplessità nei confronti del Partito Democratico?
• Laicità dello Stato: è la questione centrale. Nel nostro Paese la “Chiesa Cattolica” ha un’ingerenza ed un’influenza eccessiva ed inaccettabile particolarmente vissuta da chi, come me, non ne è parte.
• Perdita del termine “sinistra” dalla denominazione del nuovo Partito. Si discute sulla non attualità della divisione tra destra e sinistra; una discussione accademica lontana dalla gente. Per la gente, “sinistra” significa Stato sociale e “destra” la sua negazione. In politica bisogna parlare alla gente e cercare di farsi capire. Dichiararsi di sinistra è un modo chiaro di presentarsi. Bisogna farsi capire dalla gente perché alla gente si devono risposte.
• Collocazione del nuovo Partito in una posizione centrista. In politica il centro è la posizione di chi non sceglie; non è assolutamente vero che il centro sia rappresentato dal ceto medio, dalla borghesia, più o meno illuminata. Il centro non rappresenta nessuno perché è solo mediazione tra le diverse componenti sociali. Il sistema sociale è diviso in ricchi (pochi) e poveri (maggioranza): in mezzo c’è il ceto medio che non è ricco, è solo meno povero e ha bisogno di una reale politica di sinistra per essere sostenuto e garantito.
• Gestione verticistica del periodo di transizione verso il PD che si confermerà anche nella guida successiva del nuovo partito. Il Comitato Promotore, le liste bloccate sono solo l’esemplificazione del tentativo dell’attuale classe dirigente di riciclarsi ma non di rinnovarsi.
• Ruolo della cosiddetta “società civile”: chi sono gli esponenti della società civile? Sono coloro che non si sono mai spesi pubblicamente in iniziative politiche ma che, magari, hanno beneficiato dal fatto di collocarsi genericamente, senza dichiararsi, in una area politica. Mi sembra una mortificazione per tutti quei compagni che hanno messo a disposizione tempo e denaro per garantire consenso e presenza del partito senza mai ricevere concreti e tangibili riconoscimenti se non la soddisfazione di aver contribuito alla crescita di un idea.
In tutto questo rientra anche l’assenza di prospettive politiche e la sempre minore influenza della politica nella guida dello sviluppo. La politica è sempre meno strumento del sistema e sempre più strumento per la realizzazione personale.
Non ho mai inteso la politica in questo modo e, pur avendo ricoperto ruoli significativi sia nel PRI che nel PDS/DS, non ne ho mai tratto benefici materiali e non intendo iniziare a farlo.
Temo che la politica sarà sempre più autoreferenziale allontanandosi dalla gente perché non sarà in grado di dare risposte ai bisogni della gente.
La questione oggi di attualità, il costo della politica, è un falso problema alimentato dalla stessa politica che ha bisogno di spostare l’attenzione dal vero nodo centrale: la incapacità di realizzare una significativa azione di governo.
Le azioni del Governo Prodi, che pure ho, convintamente, sostenuto, sono state un disastro. Le cause non sono nell’esigua maggioranza parlamentare o nelle differenziazioni che spesso emergono nelle posizioni della sinistra radicale.
Lasciamo queste argomentazioni al centrodestra che, non avendo di meglio, ha il solo obiettivo di denigrare la controparte.
La causa è un’altra e vale sia per il centrosinistra che per il centrodestra. E’ la parte “centro” delle due aggregazioni politiche che prevale e che, sovrapponendosi, cancella le differenze creando confusioni.
In questa logica sono comprensibili anche le tesi di chi afferma la necessità del superamento dei vecchi concetti di sinistra e destra. E la gente non capisce più niente.
Il centrosinistra ha avviato azioni riformatrici vere e necessarie ma, poi, influenzato dall’opinione pubblica le ha riformulate annullandone quasi completamente gli effetti.
E l’opinione pubblica non è la gente. L’opinione pubblica sono i media, sono gli opinionisti, sono la parte conservatrice del Paese che teme le riforme.
L’esempio di tutto questo si riscontra nel processo di liberalizzazione, nella lotta all’evasione che sono serviti solo a mettere categorie contro le altre.
Sono per la libertà di stampa e di opinione (è nella mia laicità) ma bisogna evitare che questi opinionisti diventino i veri governanti del Paese. La colpa, però, non è dei media o degli opinionisti ma di quelli che da loro si fanno condizionare pur essendo stati delegati dal consenso popolare.
In un Paese dove 7.577.000 persone (13,1% della popolazione complessiva) vivono sotto il limite di povertà non si può perdere tempo per parlare del niente; bisogna risolvere il problema!
E’ la politica che non funziona più.