Il 6 maggio 1789 a Versailles si riunisce l’Assemblea Nazionale. I deputati sono divisi in due fazioni, il clero e la nobiltà da una parte e il Terzo Stato dall’altra. Clero e nobiltà rappresentano il 2% della popolazione francese, il Terzo Stato il restante 98% che ha l’onere del pagamento dei tributi. Per la prima volta il numero dei deputati del Terzo Stato è pari a quello degli altri due gruppi. Nonostante ciò, è escluso da ogni potere legislativo, esecutivo e giudiziario, perché si vota per ordine sociale e non per “testa”. I deputati del Terzo Stato si oppongono, vogliono modificare il meccanismo di voto. Sino a quel momento, nell’Assemblea, i deputati prendevano posto senza un ordine preciso. Il Clero e la Nobiltà allora, sia per differenziarsi dai rappresentanti eletti dal popolo, i quali rumorosi continuavano a protestare, ma anche per riaffermare la loro superiorità e la loro unità, decidono di collocarsi tutti alla destra del presidente dell’Assemblea, lasciando la sinistra al Terzo Stato. Nascono così la “sinistra” e la “destra”.
Da quel momento, politicamente, sinistra e destra, in tutto il mondo, rappresentano due ordini sociali precisi: il popolo e il progresso a sinistra, i privilegi e il conservatorismo a destra. Il 14 luglio successivo, con la presa della Bastiglia, prese il via la Rivoluzione Francese, che pose fine a un sistema sociale “medioevale”, l’Ancien Régime, e inaugurò un nuovo modello, caratterizzato dalla partecipazione popolare, dalla caduta delle monarchie assolute e dall’esclusione del clero dal “potere temporale”. La Francia cambia, il mondo cambia. Nel nuovo sistema politico la borghesia e il ceto medio con il popolo diventano la voce politica dominante.
Nell’opera “Destra e sinistra”, Norberto Bobbio analizza le differenze fra le due ideologie e i due indirizzi politico-sociali: la destra è caratterizzata dalle tendenze alla disuguaglianza, al conservatorismo ed è ispirata da interessi, mentre la sinistra persegue l’uguaglianza, la trasformazione, ed è sospinta da ideali. Perché abbandonare l’uso del termine “sinistra” come molti chiedono? Le parole sono convenzioni necessarie per farci comprendere e per sintetizzare e sviluppare il nostro pensiero.
Essere di sinistra non significa far parte di un partito che si colloca in quest’area politica. Significa condividere un ordine sociale composto da chi contribuisce allo sviluppo della società attraverso il lavoro, in ogni sua espressione. È difficile trovare un imprenditore, un vero imprenditore, che non abbia rispetto e attaccamento per i lavoratori, come è difficile trovare un lavoratore, non lo scansafatiche, che non provi la stessa cosa per l’impresa dove lavora. È il legame naturale di chi sta dalla stessa parte e che ha bisogno di una sana e corretta convivenza per realizzare gli stessi obiettivi e interessi solo apparentemente diversi per ruolo, funzione e intensità. L’impresa senza conflittualità nella sua struttura organica può essere più competitiva. Purtroppo ci sono anche episodi di sfruttamento e di vessazione, ma non sono la regola; bisogna rimuoverli e combatterli con strumenti legislativi e, perché no, anche culturali.
Essere di sinistra significa affermare il principio dell’uguaglianza sociale perché tutti gli uomini e tutte le donne hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Le differenze ci sono, sono naturali, ma non devono essere un ostacolo alla garanzia della dignità e della qualità della vita. Non può esistere una società dove ci sono i molto ricchi e i molto poveri; si può accettare una società dove ci sono i ricchi e i meno ricchi. La solidarietà nei confronti dei più deboli e sfortunati deve diventare un valore ancora prima che un obiettivo.
Essere di sinistra significa consentire a tutti gli uomini e a tutte le donne di beneficiare delle stesse opportunità. Non è accettabile che qualcuno abbia maggiori o minori opportunità solo perché appartenente a una famiglia, un territorio, un ordine sociale diverso. La capacità può essere una ragione di differenza, ma non una condizione di privilegio. Bisogna consentire che la capacità si esprima, perché può essere un patrimonio per la collettività.
Essere di sinistra significa garantire la libertà individuale e l’autodeterminazione, purché non lesiva della libertà e autodeterminazione altrui. Affermare che la religione cattolica è la religione di Stato, consentire ai suoi organismi di interferire nelle scelte dello Stato, è una limitazione della libertà di chi non si riconosce nel cattolicesimo o in qualsiasi altra religione.
Essere di sinistra significa opporsi alla privatizzazione dei servizi sociali (scuola, sanità, erogazione di servizi pubblici), perché lo Stato ne garantisca l’accesso a tutti e ne faccia un tramite per realizzare l’uguaglianza in quanto strumenti per la ridistribuzione del reddito. La questione della diseconomicità, dell’inefficacia e dell’inefficienza, è reale: va affrontata e risolta.
Tutto ciò distingue dall’essere di destra, la quale, al contrario, ritiene di realizzare l’uguaglianza promuovendo il consumismo, in sostituzione dei servizi sociali, magari anche attraverso l’indebitamento (non sono mai esistite tante finanziarie che concedono “prestiti al consumo” con costi finanziari al limite dell’usura); privatizzando tutto con privilegi e vantaggi per pochi e originando centri di potere difficilmente controllabili; consentendo alla Chiesa di esercitare il potere temporale perché portatrice di consenso elettorale; privilegiando la finanza con sgravi ed esoneri fiscali, lasciando tutto l’onere del mantenimento dello Stato sulle imprese e sui lavoratori; consentendo alle banche di svolgere attività finanziaria speculativa, mettendo a rischio il risparmio al di fuori della loro attività istituzionale d’intermediazione tra risparmio e impresa; permettendo ai grossi gruppi industriali o alla grande distribuzione di vessare i propri fornitori, attraverso evidenti posizioni dominanti, con tempi di pagamento che non hanno uguali in nessun Paese democratico a economia industriale; consentendo speculazioni sulle materie prime senza controllo su evidenti quanto illegittimi “cartelli” che hanno fortemente contribuito alla grave crisi economica.
Anche l’istigazione all’odio razziale o etnico è frutto della stessa logica: una società cosmopolita potrebbe essere una ricchezza se fondata sulla convivenza, ma in quanto contraddizione alla conservazione, viene dalla destra rifiutata o sfruttata.
Purtroppo questa concezione della società non è solo della destra ma è ormai patrimonio di tutta la politica. L’azione politica dei governi di centrosinistra non è stata molto diversa da quella del centrodestra. La spinta al consumismo, l’asservimento alla chiesa, la privatizzazione dei servizi pubblici, il sostegno alla finanza e ai grandi gruppi industriali è stata una costante in questi ultimi quindici anni nonostante l’alternanza alla guida del governo.
L’utilizzo della parola “centro” esprime la mediazione tra le due espressioni politiche ed è una stranezza. Se le definizioni di destra e sinistra di Bobbio sono condivisibili, e non può essere diversamente, data la natura della loro origine, non è possibile trovare una mediazione tra la tendenza alla disuguaglianza e quella all’uguaglianza, tra la conservazione e la trasformazione, tra gli interessi e le idee. Il centro, in politica, significa non stare né da una parte né dall’altra. Significa non scegliere e, di conseguenza, non realizzare trasformazioni, ma piuttosto affrancare la conservazione. Per questo motivo, nell’ultimo ventennio, nulla è cambiato in Italia nel segno dell’idealità di sinistra, ma molto è stato realizzato nella logica degli interessi della destra. La società è diventata più consumistica. La distanza tra molto poveri e molto ricchi è aumentata così come è aumentato il numero dei primi ed è diminuito quello dei secondi, i quali però sono molto più facoltosi. Le disuguaglianze, ma anche i privilegi, sono in aumento. La società si presenta ancora come alla vigilia della Rivoluzione Francese, con gli stessi ordini sociali: il clero, che ha sempre più un ruolo e una funzione dominante e condizionante; la finanza e i grandi gruppi industriali, che hanno sostituito la nobiltà nella forma, ma non nella sostanza; il Terzo Stato, ossia tutto il resto del Paese, piccole medie imprese, ceto medio, lavoratori, pensionati, che continua a subire.
Massimo D’Alema, uno dei principali protagonisti della politica di centrosinistra e della sinistra moderata per moltissimi anni, oltre che esponente di spicco dell’ex Partito Comunista, ha affermato: “Questo autolesionismo è la conferma di ciò che penso da anni. La sinistra è un male, solo l’esistenza della destra rende questo male sopportabile…”. Non servono commenti. Una simile affermazione conferma che non esiste una politica di sinistra, esiste solo la politica finalizzata alla realizzazione di opportunismi personali.
Purtroppo la politica, tramite i partiti, ha fatto perdere identità alla sinistra e, ancora più grave, ha provocato la divisione di tutte quelle componenti sociali che in maniera naturale dovrebbero riconoscersi in essa. Anche i sindacati, che hanno affiancato la sinistra radicale nella lotta di classe, hanno contribuito a una conflittualità interna alle imprese, un atteggiamento che è ancora oggi un retaggio classista sia da parte di imprenditori che di lavoratori. Il risultato è la deindustrializzazione del Paese con tutti gli effetti negativi attuali e che, sperando in una smentita, sono ormai irreversibili e produrranno conseguenze ancora più gravi.
In tutto ciò ha avuto buon gioco la destra, non quella dei partiti che equivale alla sinistra, ma di sistema, la quale ha consentito alla finanza di arricchirsi ulteriormente impoverendo il mondo intero, alla chiesa di essere parte delle vicende finanziarie ma anche di beneficiare di enormi contributi pubblici, ai grandi gruppi industriali di vessare le piccole e medie imprese, spina dorsale del sistema industriale italiano, infine alla finanza di fare speculazioni sulle materie prime provocando la chiusura di piccole e medie imprese e creando disoccupazione.
Ha ragione Giorgio Bocca, quando afferma: “Per me destra e sinistra si equivalgono in stupidità”. Probabilmente si riferisce alla destra e sinistra dei partiti e non a quella degli ideali e dei valori. Ha altrettanto ragione però Walter Veltroni: “Sinistra è una bellissima parola, sta dentro di noi, è un insieme di valori, di passioni.” oppure “Essere di Sinistra non è appartenere a un partito di quell’area, ma quello per cui mi batto.” Non ho mai avuto grandi apprezzamenti per Walter Veltroni ma se queste enunciazioni non fossero strumentali e rappresentassero veramente il suo pensiero, sarei pronto a ricredermi. Sempre che sia, però, disponibile a rinunciare alle posizioni di privilegio di cui gode.
Esiste un pregiudizio sulla denominazione “sinistra” utilizzata in politica: usualmente s’identifica con l’appartenenza al Partito Comunista, al partito dei lavoratori il quale aveva storicamente una posizione conflittuale nei confronti delle imprese. È la lotta di classe del secolo scorso, è la lotta tra lavoro e capitale, strumenti della produzione. Una visione sbagliata e falsa perché non può esistere il lavoro senza il “capitale” e non può esistere il “capitale” senza il lavoro. L’errore fa assurgere a sistema le due fasi del processo produttivo trasformando la collaborazione in rivendicazione. Ugo La Malfa, segretario del Partito Repubblicano Italiano, nel 1978, con riferimento al dibattito dell’epoca su una possibile crisi del “capitalismo” affermava: “Perché io, invece, considero il meccanismo neutrale? Perché un sistema come l’altro subisce gli impulsi della struttura politica e della lotta sociale. Ormai la teoria che considera le forze politiche e anche quelle sindacali come sovrastrutture, mentre la struttura fondamentale sarebbe quella capitalistica, mi sembra del tutto priva di fondamento. Ci sono forze politiche e forze sociali che danno degli impulsi. Naturalmente gli impulsi dipendono dal carattere delle singole forze. Ora, questo sistema capitalistico e stato capace di ricevere impulsi. Cioè, quando noi parliamo di quello che hanno fatto le socialdemocrazie diciamo che hanno corretto il capitalismo. Più precisamente, quali tipi di impulsi hanno dato? Poiché non reputavano che la distinzione fra proprietà privata o pubblica fosse un dato fondamentale, e quindi potevano instaurare proprietà nazionalizzate, ma potevano anche non farlo, queste forze politiche e sociali hanno provocato una ridistribuzione del reddito.”
Il Partito Repubblicano di Ugo La Malfa era un partito laico di sinistra, ma non marxista; era svincolato dagli errori, dagli idoli, dai malintesi dottrinari, dalle sudditanze ideologiche, dalle consuetudini mentali. I valori di libertà, uguaglianza e solidarietà sono figli dell’illuminismo, non del marxismo e non sono ideologie, sono valori. In Italia il primo governo di sinistra nasce nel 1876, primo ministro Agostino Depretis, a matrice liberale progressista che si rifaceva al pensiero democratico mazziniano e garibaldino. Il comunismo e il socialismo non erano ancora nati, il marxismo era agli albori.
La sinistra è portatrice di valori! Sono stati i partiti che ne hanno modificato il significato, prestando maggior attenzione alla tattica e alla strategia, e realizzando unicamente apparati e strutture che hanno provocato la degenerazione del sistema nella logica della loro sopravvivenza. In quest’atteggiamento sta la degenerazione dei paesi del “socialismo reale” e della partitocrazia, incapaci d’incidere sull’evoluzione e sviluppo del sistema democratico. Nei partiti l’effetto è la negazione della propria matrice che porta alla mediazione e al compromesso sui valori, per garantire un ruolo che possa mantenere gli apparati e le posizioni personali.
Non è la sinistra che ha fallito. Sono i partiti che hanno fallito. Non cancelliamo la “sinistra”, cancelliamo i partiti attuali e i loro vertici.
È necessario riportare la politica alla risoluzione dei problemi secondo i significati in essa contenuti. È necessario riportare la gente su valori che possono rappresentare sacrifici, ma anche garantire un futuro, quello dei figli e nipoti, che è sempre più oscuro e incerto. Bisogna evitare di tornare al giorno prima del 14 luglio 1789, riconsegnando la nostra società a un’oligarchia che decida anche le identità individuali. Sarebbe la fine dell’uomo, il ritorno a un medioevo che pensavamo di aver cancellato. Per evitare che questo avvenga, bisogna ridare senso alla sinistra e cercare di riaggregare tutti quelli che si sono allontanati dalla sinistra dei partiti. L’art. 35 della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, pubblicata nel 1793, sanciva che, «quando il governo viola i diritti del popolo, per il popolo e per ogni parte del popolo, l’insurrezione è il più sacro di tutti i diritti e il più indispensabile di tutti i doveri.». Forse è giunto il momento dell’insurrezione, che non deve essere armata o violenta. Esistono strumenti della democrazia come il voto. Utilizziamolo.
L’obiettivo è uno solo, realizzare una società che, partendo dall’identificazione nella sinistra descritta da Bobbio, sia un modello di democrazia, modernità e civiltà.