Le prese di posizione di questi giorni contro il “D.D.L. concorrenza” per una ventilata ipotesi della privatizzazione dei servizi pubblici ed in particolare del servizio idrico integrato, sono smentite dalla lettura attenta del disegno di legge.
È sufficiente usare parole come “concorrenza” o “mercato” per far scattare teorie e tesi irreali e fantasiose.
La concorrenza e il mercato, in un economia non di Stato, sono elementi naturalmente esistenti e positivi se collocati nella sfera di attività economiche commerciali perchè costituiscono, a favore dei consumatori, una forma di regolazione della qualità e dei prezzi contro le tesi liberiste, sempre che lo Stato, applicando l’art. 41 della Costituzione, eserciti l’attività di controllo per evitare che siano in “contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana“.
Il D.D.L., che dedica un articolo su 32 ai servizi pubblici locali, introduce principi innovativi su attività estranee ai servizi pubblici e sulle “concentrazioni” che mai erano state affrontate nel passato e che hanno condizionato, sinora, l’economia delle famiglie proprio perchè la “concorrenza ed il mercato” non erano uno strumento naturale di regolazione. Mi rendo conto che culture politiche, ormai tramontate, erano e sono contro ogni forma di iniziativa privata e, proprio per questo motivo, sono fallite.
Bisogna distinguere le attività che rientrano nella regolazione della “concorrenza e mercato” e quelle che rientrano nelle funzioni dello Stato, perchè devono garantire diritti fondamentali, soddisfare bisogni primari ed essere motore delle sviluppo del sistema, anche delle imprese.
Non possiamo nemmeno ignorare che le gestioni in house providing (autoproduzione) hanno prodotto diseconomie cui i cittadini hanno dovuto provvedere con maggiori costi dei servizi, per inefficienza, inefficacia e clientelismo.
Mi preoccupa quando sento un Sindaco affermare che, in fondo, i dividendi delle società pubbliche vengono utilizzate dai Comuni per sopperire alla mancanza di risorse, dimenticando, però, che i dividendi rappresentano una violazione al principio costituzionale della “capacità contributiva” in quanto prodotte dsi consumi e non dai redditi.
Non è un caso che la ripubblicizzazione del servizio idrico sia stata bloccata proprio dalle società pubbliche e dal partito che ne governa la maggior parte.
Il punto del P.N.N.R. “Riforma 4.2: Misure per garantire la piena capacità gestionale per i servizi idrici integrati” precisa che “La riforma è quindi rivolta a rafforzare il processo di industrializzazione del settore (favorendo la costituzione di operatori integrati, pubblici o privati, con l’obiettivo di realizzare economie di scala e garantire una gestione efficiente degli investimenti e delle operazioni) e ridurre il divario esistente (water-service divide) tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno”.
Se il 61,27% dei Comuni del Mezzogiorno, il 14,17% del Nord e il 20,55% del Centro, dopo 27 anni dall’entrata in vigore della Legge Galli, gestiscono il servizio ancora in economia, ossia ogni Comune lo gestisce in proprio, il problema esiste, non solo per il Mezzogiorno.
Se la riorganizzazione del servizio idrico, dopo 27 anni, non si è ancora realizzata, la responsabilità non è della “concorrenza e mercato” ma degli Enti Locali che si sono sempre preoccupati dei personalismi, dell’autoreferenzialità dei propri amministratori e dei campanilismi.
Il D.D.L. non chiede o impone la privatizzazione, chiede e impone quello che anche i cittadini chiedono, ossia universalità e socialità, efficienza, economicità e qualità del servizio.
Le norme, compresi i disegni di legge, devono essere analizzati con attenzione per evitare quello che, ormai, è diventata una moda, cioè le bufale o fake news.
L’art. 6, lettera f), per i critici e accusatori di lobbismo del Governo, è riferito agli affidamenti di cui all’art. 35 del d.lgs. 50/2016 (codice degli appalti) che non sono le concessioni di servizi pubblici locali con affidamento in house providing, esclusi dall’applicazione del codice degli appalti dall’art. 4 dello stesso.
In conseguenza anche la motivazioni della scelta o conferma dell’autoproduzione non dovrà essere trasmessa all’A.G.C.M. anche se l’art. 34, comma 20, del D.L. 179/2012 e l’art. 1, comma 609, della L. 190/2014, Legge finanziaria 2015, inoltre, prevedono per le gestioni in house providing, l’obbligo di una relazione con le stesse motivazioni e la sua pubblicazione sul sito web dell’Ente.
Gli affidamenti in house providing, oltretutto, non possono essere vietati in quanto previsti e regolati, oltre che dall’ampia giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, dall’art. 17 della Direttiva 2014/23/UE recepita dall’art. 16 del d.lgs. 175/2016 (TUSP).
Sono altri gli aspetti che sarebbe opportuno approfondire e chiarire, magari con una partecipazione propositiva prima dell’approvazione del disegno di legge e, successivamente, dei pareri definitivi delle competenti Commissioni parlamentari.
Il D.D.L., contiene anche ipotesi interessanti e positive che prevedono la partecipazione degli utenti nella fase di definizione della qualità, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale, che non possono essere ignorati perchè non utili alla polemica.
L’unico grave pericolo rappresentato dalla Presidenza del Consiglio di Mario Draghi, di cui lo stesso non ha responsabilità dirette, è una classe politica che dovrebbe rappresentare ed interpretare i bisogni dei cittadini ma vi ha rinunciato da troppo tempo dimenticando che la nostra è una democrazia rappresentativa.
È responsabilità diretta della classe politica se Mario Draghi è un Presidente del Consiglio plenipotenziario con tutti i rischi che questo rappresenta. Questo però è un altro discorso.