Ciao Tore
Il tuo messaggio e la tua riflessione mi hanno fatto veramente un grande piacere.
Permettimi, innanzitutto, di complimentarmi con te per lo stile che porta il lettore a visualizzare, nel suo immaginario, i messaggi precisi e puntuali. È un modo per stemperare la drammaticità del momento evitando la reazione unicamente emotiva e irrazionale ma ben rileva una realtà dalla quale, oggi più che mai, non possiamo prescindere.
Da qualche anno, precisamente dalla nascita del P.D., al quale non ho voluto aderire, cerco di dare un mio contributo attraverso scritti e messaggi sui vari temi della politica, sul governo delle istituzioni, locali e centrali, su un’azione di governo finalizzata unicamente all’autoreferenzialità e all’autotutela. Lo Stato è il popolo; gli eletti sono unicamente dei delegati dagli elettori e a essi, per questo motivo, sono subordinati. Non deve mai essere dimenticato.
Condivido totalmente le tue riflessioni, anche se ritengo che azioni e atti devono rendere concreto il pensiero. Ho già vissuto questa esperienza. Se i pensieri e le riflessioni restano nell’ambito di una dialettica, pur ampia grazie alla rete, infastidiscono ma non preoccupano e sono sistematicamente ignorati o tacciati di qualunquismo e di antipolitica. Tutto ciò che è difforme alle posizioni dei “signori della politica” e ai media loro servitori è solo qualunquismo e antipolitica.
L’attuale sistema è completamente sbagliato e deve essere radicalmente cambiato. È la rivoluzione che io auspico in ogni occasione, anche pubblica, che può portare dei cambiamenti. Il termine “rivoluzione” spaventa ma, poiché non è necessariamente sinonimo di violenza, bensì di cambiamento radicale e profondo, bisogna avere il coraggio di enunciarla e magari anche di avviarla nel pieno e totale rispetto delle regole democratiche.
Il fenomeno dei “grillini”, una proposta che non condivido perché si esaurisce con la critica, è espressione non solo del dissenso ma anche del desiderio di cambiamento. È l’inizio di una rivoluzione che produrrà effetti molto più ampi di quelli leghisti, anche perché meno localizzato. Non so però che cosa succederà il giorno dopo mancando una proposta politica.
È necessario definire la nostra collocazione e il modello di società che desideriamo. I concetti di sinistra e destra non sono manichei o vetero, come vorrebbe farci credere l’attuale classe politica interessata a realizzare una convergenza verso il centro garante solo delle dirigenze ma non della gente, il popolo.
Se la sinistra è lo Stato sociale e la destra è lo Stato liberista, non può esistere un centro che abbia l’obiettivo di mediare i due modelli tra loro antitetici, conflittuali e contraddittori. La giustificazione è la moderazione. Ma, che cos’è la moderazione? Tranquillizzare i potenti, finanza e clero, e affamare il resto del popolo, il Terzo Stato?
Hollande, in Francia, ha vinto le elezioni presidenziali dichiarando “nous sommes la gauche” (noi siamo la sinistra) e nella successiva tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento, il centro è stato praticamente cancellato.
Siamo alla vigilia del 14 luglio, che io celebro tutti gli anni perché lo considero un momento fondamentale della storia dell’umanità. Il 14 luglio 1789 si è avviato un percorso che la restaurazione prima e la politica dopo, anche con grossi errori da parte della sinistra, hanno completamente annullato lasciando solo le enunciazioni.
Non è solo una vigilia di calendario, è una viglia anche di situazioni poiché allo Stato assolutista e monarchico si è sostituito lo Stato liberista che ormai si è radicato non avendo alcuna opposizione reale e che si rafforzerà ulteriormente se sarà raggiunto l’accordo PD-UDC-PdL. Tra l’assolutismo monarchico e l’assolutismo liberista non c’è alcuna differenza poiché entrambi hanno la funzione di garantire i pochi a danno del resto della popolazione.
Bisogna fissare degli obiettivi. Il primo, secondo me, è quello di riunire, come in quella vigilia, il Terzo Stato, imprenditori, professionisti, commercianti, artigiani (la borghesia) e lavoratori che rappresentano, credo, il 99% della popolazione ma che subiscono le decisioni dell’altro 1%. L’abate Emmanuel Joseph Sieyès, nel gennaio del 1789, affermò «Che cos’è il terzo stato? Tutto. Che cosa è stato finora nell’ordinamento politico? Nulla. Che cosa chiede? Chiede di essere qualcosa».
Qualche mese dopo la risposta fu la Rivoluzione Francese.
Dobbiamo ripetere la stessa esperienza e mandare a casa tutta quella classe politica che, avendo ricoperto, negli ultimi vent’anni, ruoli di governo ha provocato il disastro attuale con aziende che chiudono, aumento della disoccupazione, specialmente giovanile e impoverimento del popolo con vantaggio di pochi che in questa situazione aumentano la propria ricchezza. Vogliamo proprio lasciare agli stessi la soluzione dei problemi del popolo italiano? Sarebbe un’indecenza. Chi ha sbagliato deve andare a casa. Non è una questione di colore politico. In quest’ultimo ventennio (è purtroppo una storia italiana che si ripete quella del ventennio) i governi si sono avvicendati occupando quasi lo stesso periodo temporale. La responsabilità, quindi, è tanto del centro-destra quanto del centro-sinistra. Chi sostiene oggi il Governo Monti, governo tutt’altro che tecnico e radicalmente e sfacciatamente liberista, voluto dai centri di potere finanziario, non merita il consenso elettorale indipendentemente dalla sua collocazione.
I parlamentari che hanno votato a favore, tra il dicembre 1994 e il febbraio 2006, delle varie leggi per il finanziamento dei partiti, una vergogna, devono essere dichiarati ineleggibili e nemmeno candidabili anche se leader di partito.
Bisogna eliminare le candidature elettive “garantite” dalle segreterie dei partiti. Tutti devono sottoporsi al vaglio elettorale senza eccezione alcuna. La regola deve, valere ad esempio, anche per i Bersani, i D’Alema e i Veltroni (per rimanere nell’area della sinistra).
Bisogna separare i poteri dello Stato come già teorizzava Aristotele con riferimento al potere legislativo, esecutivo e giudiziario.
Preferirei chiamarli ruoli e funzioni perché il potere è uno solo e compete al popolo. Tralascio quello giudiziario, estraneo all’attuale argomentazione, introducendo un nuovo ruolo o funzione, quello politico.
I tre ruoli e funzioni devono essere separati senza deroghe ed eccezioni. La funzione politica è quella puramente progettuale, la funzione legislativa, espressione della rappresentanza popolare, è quella, attraverso l’emanazione di leggi, di realizzare i progetti politici e quella esecutiva, è lo stesso significato etimologico, è attuare e dare esecuzione alle leggi.
Oggi la situazione è molto diversa. Il segretario del partito è normalmente anche parlamentare e, se parte della maggioranza, anche Presidente o membro dell’esecutivo. Se a questo si aggiunge che al segretario del Partito è riservata l’ultima decisione relativamente alle candidature, è evidente che l’autonomia dei singoli parlamentari è una semplice teoria. E la democrazia e la rappresentanza parlamentare sono cancellate.
I “soloni della politica”, inoltre, per garantire la governabilità, chiedono un maggiore potere per l’esecutivo e una riduzione del numero dei parlamentari. È già successo, con le stesse motivazioni, dando avvio a un ventennio che ha portato solo miseria e lutti.
Non si può dimenticare che, di fatto, l’esecutivo legifera con disegni di legge o decreti leggi anche su questioni strutturali, mentre dovrebbero essere limitati ai soli casi straordinari e di urgenza, facendoli approvare, attraverso la fiducia al Parlamento. È una metodologia utilizzata dal centro-destra e dal centro-sinistra ma anche dallo pseudo governo tecnico che non è espressione della volontà popolare. È una metodologia estorsiva perché se il parlamentare non si attenesse alle direttive del Partito non sarebbe più candidato nella tornata elettorale successiva indipendentemente dal consenso o meno degli elettori.
Nel giugno 2011, un referendum popolare ha abrogato alcune leggi con il voto della maggioranza degli elettori, ma il risultato è stato completamente disatteso o ignorato come, del resto, era successo per il referendum che abrogava il finanziamento pubblico dei partiti.
Il sindaco di Genova, nell’ultima tornata elettorale amministrativa è stato eletto con il 23.33% degli elettorali (non perché c’è stata una frammentazione del voto ma perchè ha votato solo il 38,09% dei cittadini) ma governa la città e assume decisioni importanti che possono influenzare il futuro anche per quel 76,67% che non l’ha votato. In una società normale e civile, ammesso che ne esistano, si sarebbe preso atto della sfiducia da parte dei suoi cittadini e gli sarebbe stato impedito di ricoprire un ruolo tanto importante.
Forse è una strategia di questi politici. Disaffezionare l’elettorato e far votare solo gli iscritti al partito.
Sono molto preoccupato, ma non per questo demotivato, perché temo che sia in gioco la stessa democrazia e, richiamando Aristotele e le tre forme di governo da lui teorizzate, monarchia, aristocrazia e democrazia, temo che la democrazia sia già finita, sostituita dall’aristocrazia, e sulla strada per diventare una monarchia anche se continueremo a chiamarla repubblica.
Se il tuo messaggio e le tue riflessioni sono un invito a reagire e ad alzare il “crapone”, ci sono fino in fondo “senza se e senza ma” con l’unico desiderio di fare qualcosa di concreto e non solo “salotto” anche se virtuale.