Egregio Direttore
Non vorrei apparire un eccessivo presenzialista. Mantenere nella sfera pubblica il Servizio Idrico, ma anche tutti i servizi pubblici locali, è un nodo centrale per garantire il welfare e la democrazia. Condizionare l’accesso ai servizi che soddisfano i bisogni primari, e ai beni comuni, tali perché la natura li mette a disposizione di tutti, è una limitazione del diritto di cittadinanza, non anagrafica ma naturale.
Il commento di Massimo Panzeri, che, per sua dichiarazione, è favorevole alla privatizzazione, merita attenzione ed è una opportunità per un dibattito e confronto sereno. È molto più apprezzabile di quei sindaci che dichiarano di essere contrari alla privatizzazione, che hanno votato “SI” al referendum ma compiono atti che vanno nella direzione opposta.
Le cause del non funzionamento e della eccesiva onerosità del servizio, espresse da Panzeri, mi trovano d’accordo. Ho spesso criticato il malgoverno dei servizi pubblici, colpa di una politica incompetente e di una eccessiva subordinazione dei sindaci ai partiti.
Perché sono contrario alla privatizzazione dei servizi pubblici? Se affidassimo la gestione del servizio ad un imprenditore brianzolo avremmo risultati sicuramente ottimali, ne sono sicuro. Ma, nella realtà il servizio, affidato mediante gara, finirebbe in mano a qualche gruppo finanziario, magari straniero, con interessi solo economici. Il “capitalismo finanziario” italiano è peggio dei partiti, è un capitalismo straccione che usa soldi pubblici per fare profitti. Le banche, le grandi imprese, i grandi gruppi finanziari, quelli interessati ai servizi pubblici, stanno in piedi solo con i contributi dello Stato. Le gare sono quasi sempre origine di malaffare.
Non mi convince il privato nei servizi pubblici anche perché non si può prescindere dalla funzione sociale che non può essere delegata a privati.
Il pubblico non funziona, ma possiamo cambiarlo. In altri Paesi europei funziona e i cittadini si riconoscono nelle Istituzioni pubbliche che considerano un proprio patrimonio. La differenza è culturale, dobbiamo acquisirla. Gli italiani considerano il pubblico patrimonio di altri e, quindi disponibile per gli interessi particolari, di partito o personali.
Condivido il principio che la tariffa fissata dall’autorità competente debba essere il massimo e che, nella gestione, l’obiettivo debba essere la sua riduzione. Non servono le gare, dove l’eventuale riduzione viene compensata dal minor servizio grazie anche ad acquiescenze, magari interessate. Serve un indirizzo preciso dei Comuni che esercitano il controllo analogo ma, purtroppo, non sempre hanno la necessaria competenza e allora decide il partito per tutti. Nel partito, la competenza è un optional.
Ho posto un quesito all’Autorità (AEEG) circa la possibilità di applicazione di una tariffa inferiore a quella prevista dal modello tariffario. La risposta è stata positiva ma tanto condizionata da essere negativa.
In Italia si vorrebbe realizzare concorrenza e mercato con tariffe fisse. Una contraddizione. Se la tariffa fissa è un regolatore della concorrenza, temo che assomigli ad un monopolio privato. Preferisco quello pubblico perché posso anche condizionarlo e non subirlo.
Per il privato, il servizio è lo strumento per fare profitto. Per il pubblico, correttamente gestito, il servizio è lo strumento per soddisfare i bisogni dei cittadini e per contribuire a rimuovere gli ostacoli sociali ed economici che limitano la loro libertà e uguaglianza.
Cambiamo il pubblico, si può fare e, forse, oggi più che mai. Serve solo maggiore consapevolezza dei cittadini.
Non c’è grande distanza, in fondo, con Massimo Panzeri. Condividiamo l’analisi di una gestione attuale sbagliata e abbiamo lo stesso obiettivo finale, servizio efficiente e tariffe basse. Non siamo d’accordo sullo strumento. È già un passo avanti per un possibile dialogo che, al contrario, è impossibile con chi non vuole cambiare il modello di gestione attuale