La “Politica”, l’arte del governare le società, è essenziale, indispensabile e insostituibile per lo sviluppo e la crescita della società stessa. I partiti sono lo strumento della politica per l’elaborazione di progetti sociali sulla scia della scuola di pensiero che rappresentano.
La “Politica” ha accompagnato la storia dell’umanità. È stata, e dovrebbe ancora essere, il motore dell’evoluzione in ogni suo aspetto, sia esso sociale, economico o culturale. La storia che studiamo sin dalla scuola obbligatoria è il resoconto delle vicende umane nelle quali l’arte della politica ha svolto un ruolo primario.
La “Politica” purtroppo è anche un centro di potere e, in quanto tale, di malaffare e corruzione. Già Platone affermava che “la politica, nella comune accezione del termine, non è altro che corruzione”.
Purtroppo, dopo anni vissuti con grande passione per l’idealità che essa esprimeva, contribuendo al mutamento sociale negli anni ‘60, la politica si è trasformata in un “mestiere” e i partiti, che erano il riferimento che aggregava comuni tematiche e ideali, si sono trasformati in strutture organizzate sussidiarie alle esigenze dei politici e non alla realizzazione di progetti di sviluppo sociale.
Questa degenerazione ha spento nei partiti stessi i dibattiti interni, i quali si sono ridotti a brutte rappresentazioni rituali e scontate con unico obiettivo la critica alla parte avversa.
Il “leaderismo” ha spento il dibattito. La gente non individua o sceglie il partito per la sua proposta politica, ma per il “leader” che lo guida e rappresenta. Non esiste più la diversità tra “destra” e “sinistra”, ma solo la ricerca del consenso con scontri e diatribe dialettiche da salotto, utilizzando i “media” in modo da condizionare la politica con atteggiamento critico o benevolo nei confronti dei “leader”. La ricerca della visibilità, e non le divergenze programmatiche, è ormai l’unica causa di crisi di governo e il tutto concorre solamente a una sterile rappresentazione tragicomica.
Bisogna ridare senso alla politica e rigenerare i partiti, restituendo loro la funzione di centro di incontro dialettico dove contribuire alla costruzione di una società moderna e civile. Bisogna riportare la gente alla politica. Io l’ho abbandonata da qualche anno, perché non ho più trovato in essa la possibilità e l’occasione di un confronto dialettico non strumentale ma progettuale.
La mia posizione è critica solo nei confronti della “sinistra”, perché non condividendo la proposta politica della destra è scontata la mia discordanza. È inutile perdere tempo a criticare una posizione non condivisa, è meglio elaborare dei progetti politici caratterizzati dalla matrice di appartenenza che, se incontreranno la condivisione della gente, potranno portare la sinistra a essere alternativa di governo.
Una forza politica deve proporsi quale forza di governo, con l’obiettivo di essere maggioritaria attraverso il consenso elettorale. È necessario proporre un programma che sia la sintesi di un ampio dibattito, non, come oggi, frutto di parole vacue. Servono azioni e fatti precisi.
L’autocritica, in politica, è fondamentale perché senza di essa si diventa autoreferenziali. I vertici dei partiti sono gli unici responsabili della grave crisi, non solo economica ma anche di valori, in cui si trova il nostro Paese, e, invece di proporsi per la risoluzione dei problemi, farebbero molto meglio a farsi da parte.
È vero che l’attuale crisi economica è stata provocata, in grande parte, da banche e finanza, qualcuno ha però ha permesso che ciò avvenisse.