Dopo il turno elettorale amministrativo, e referendario, del 12 giugno, non si arresta la passerella dei rappresentanti dei partiti nazionali che esprimono soddisfazione per i risultati.
Forse il timore, alla vigilia, di una catastrofe aveva creato tensioni ma la catastrofe si è avverata anche se, camuffandola, qualcuno spera nella sopravvivenza.
Sembra, dalle dichiarazioni, che tutti abbiano vinto mentre, al contrario tutti hanno perso.
Purtroppo, ha perso la politica senza la quale un Paese rischia la deriva ma, forse, sto sbagliando, è la politica che sta portando alla deriva il Paese.
Il 12 giugno sono stati chiamati al voto 8.854.549, secondo i dati del Ministero degli Interni, poco meno del 20% degli elettori italiani non residenti all’estero, ma solo il 54,79% si è presentato al seggio e, non pochi, avranno depositate schede nulle o bianche.
Non essendo ancora pubblicati i dati complessivi sul sito del Ministero e i soli dati disponibili sono utili a gratificare i partiti anche se non esprimono la realtà, ho deciso di fare un’analisi del voto di Genova, perchè per i partiti sembra il simbolo del successo politico e Genova è, con Palermo, la città più grande al voto. Purtroppo, Palermo, con il pasticcio creato dai Presidenti di seggio, non è, al momento significativa.
A Genova ha votato, o meglio si è presentato al voto, il 44,17% degli elettori ma il 4,50% ha depositato una scheda bianca o nulla, riducendo il numero dei voti validi al 39,67%. Quasi un solo elettore ogni tre ha partecipato al voto.
Se raggruppiamo i risultati dei partiti o movimenti istituzionali, il voto totale diventa il 38,03% degli elettori, compreso lo 0,91% dei nostalgici, tanto vetero quanto inutili, comunisti, ma, se escludiamo i voti raccolti dalle liste dei candidati sindaci, che hanno sostenuto il candidato rifiutandosi di votare il partito, i voti politici scendono al 27,96%. Un elettore ogni quattro ha votato un partito.
Continuando di questo passo, a breve, si recheranno alle urne solo attivisti e iscritti di partito ed il rischio per la democrazia sarà reale, ma, forse, è quello che i partiti vogliono.
Nessun partito, a Genova, ha superato il 10% degli elettori, il primo partito, come indicato nella tabella, è quello degli astensionisti con il 55,8% ed il quarto è quello delle schede bianche o nulle. I numeri sono sempre sinceri è quelli di Genova esprimono una realtà, dura ma indiscutibile.
Non è disaffezione, che già è preoccupante, è rifiuto dei partiti e, questo, nel nome della democrazia, non possiamo permetterlo, i partiti sono necessari perchè sono il modo di creare gruppi, come prevede l’art. 49 della Costituzione “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” ma gli attuali partiti, tutti, e devono farsi da parte o modificare radicalmente metodi, comportamenti cominciando a preoccuparsi delle persone, cioè dei cittadini che assieme formano il popolo, il depositario della sovranità, diventandone, come vuole la democrazia, i loro rappresentanti istituzionali,
Tocca a quel 60,30% di elettori che si sono astenuti e di quelli che hanno depositato schede bianche e nulle, ad assumere, responsabilmente, l’iniziativa per un cambiamento radicale trasformando la protesta, legittima ma inutile, in una bocciatura di tutta la classe politica attuale. I numeri ci sono e in democrazia si può.
La vicenda del referendum sulla giustizia promosso dai partiti, solo per difendere se stessi e alla ricerca del consenso, è vergognosa perchè il referendum è strumento di democrazia e partecipazione dei cittadini non dei partiti che sono già eletti per fare le riforme e risolvere i problemi.
Non ho votato per il referendum perchè considero, in questo caso, l’astensione una modalità di voto considerato anche l’obbligo di raggiungere il quorum della maggioranza degli elettori.
Venisse introdotto il quorum anche per le elezioni politiche e amministrative cambierebbero molte cose e i partiti avrebbero più attenzione per i cittadini.
Il default dei partiti non è una novità, è già stato certificato, agli inizi del 2021, dalla nomina di Mario Draghi a premier dell’attuale governo, non per suoi particolari meriti ma solo per l’incapacità politica di chi avrebbe dovuto provvedere ma ha preferito farsi commissariare.
Non è la mia una critica al Premier e al Governo da lui presieduto, pur non condividendo la sua opinione ultra liberista ben espressa nel noto discorso del 3 giugno 1992 sullo yacth Britannia della famiglia reale inglese, ma a chi ha preferito farsi commissariare piuttosto che affrontare i problemi in piena crisi pandemica nella logica del consenso elettorale anche cavalcando il dissenso complottista contro il vaccino, cioè le cure contro la pandemia.
Gli italiani, però, sono molto più attenti e seri della classe politica che è responsabile, con le manovre politiche dei decenni scorsi, anche degli aumenti delle bollette e dell’inflazione attuale che sta colpendo le persone più deboli e disagiate, e hanno lanciato un segnale forte per un reale cambiamento che non sia la ripetizione del disastro di un movimento che, dopo aver dimostrato che gli elettori possono cambiare, ha preferito fare altre cose, cioè quelle di cui sono stati, in precedenza, i censori.