Questi ultimi anni dovrebbero averci insegnato qualcosa che, sembra, la politica non voglia capire e che noi subiamo senza alcuna reazione.
Non sono reazioni gli isterismi dei complottisti e degli artefici delle fakes news, sono solo disinformazione e confusione.
la crisi pandemica
Il COVID, una pandemia di cui da tempo si temeva la possibile apparizione ma, nonostante la stessa OMS da oltre vent’anni, ne segnalasse il rischio, ha trovato il sistema completamente impreparato provocando un numero eccessivamente elevato di vittime e uno squilibrio socio-economico con un ulteriore aumento dei poveri.
Le cause non sono i complotti, le pandemie sono un fatto naturale, possibile ed inevitabile, che accompagnano la storia dell’umanità. Oggi, ridotte le distanze ed aumentati i contatti, la diffusione è naturalmente più facile.
Non aver saputo affrontare la pandemia con tempestività e determinazione una calamità, da tempo ventilata, è una grave responsabilità dei nostri governanti regionali, visto che la modifica del Titolo V della costituzione ha trasferito alle regione la relativa competenza.
Nel 1972, dopo l’approvazione della Legge di trasferimento di parte delle funzioni amministrative alle Regioni, poi ampliata con la modifica dell’art. 117 del 2001, Ugo La Malfa affermò «Abbiamo approvato la legge che porterà l’Italia alla rovina.» con questo intendendo che sarebbe stata l’inizio della moltiplicazione di clientele e spesa improduttiva. Cosa che si è puntualmente avverata con disservizi a danno dei cittadini italiani. La riforma fu voluta per creare centri di potere politico pur giustificandola con la maggior vicinanza ai problemi dei cittadini.
Nella sanità venne smantellata la struttura sanitaria, in particolare quella pubblica, con una riduzione degli istituti di cura che sono passati dai 1321 del 2000 alle 992 del 2019 [1], cioè una riduzione del 24,9%. Interessante notare che le strutture pubbliche hanno avuto una riduzione del 34,4% mentre quelle private del 11,0%.
Non è un caso che lo sviluppo della pandemia e gli effetti letali siano stati maggiori nella Regione Lombardia, dove la riduzione delle strutture è stato solo del 3,9% ma la privatizzazione ha avuto maggiore sviluppo, con una quota delle private, nel 2000, del 43,3% che cresce, nel 2019, al 52,5%, cioè le private diventano maggioritarie.
Nel febbraio 2020, quando scoppiò la pandemia, il sistema è andato in crisi anche per la insufficienza di posti letto e terapie intensive.
In un Paese, come l’Italia, dove le spese annuali per la ricerca e innovazione nella sanità sono di circa € 400 milioni, realizzate per il 75%, pari allo 0,05% delle spese totali, gli eventi di natura straordinaria, come una pandemia, il ritardo di intervento e la dipendenza da operatori privati, Big Pharma, diventa inevitabile ed i ricercatori italiani, come abbiamo visto, si trasferiscono all’estero.
la crisi energetica
il gas naturale
La crisi pandemica non è ancora conclusa e scoppia la crisi energetica, completamente estranea, per il momento, alla guerra russo-ucraina.
La crisi energetica ha un nome, si chiama “gas naturale”, comunemente chiamato anche metano, che ha un consistente effetto anche sulla produzione di energia elettrica avendo, su quella termica prodotta con il gas naturale, un’incidenza del 43%.
L’aumento del costo all’ingrosso (TTF) dell’hub “Dutch TTF Natural Gas”, che rappresenta il punto di quotazione di riferimento per l’Europa, dal maggio 2021, al dicembre 2021, ha avuto un aumento del 359,63% (!) passando da €/MWh 25,02 a €/MWh 114,99 come evidenziato dal grafico [posizionare il mouse sui punto per leggere l’importo esatto – ndr]
Un aumento che non ha precedenti, dal 01.01.2018 al 31.05.2021 il prezzo TTF è passato da €/MWh 19,32 a €/MWh 24,93 con un aumento del 29,04% in tre anni e mezzo e, nelle variazioni giornaliere, ha avuto il suo punto massimo il 24/09/2018 con € MWh 20,25.
Per la determinazione del prezzo TTF, acronimo di Title Transfer Facility, è l’indice finanziario della borsa del mercato del gas naturale dei Paesi Bassi ed è il principale riferimento per il mercato europeo.
Ve ne sono altri, difficilmente accessibili per l’utente non operatore, che comunque, non si discostano in modo significativo da quello dei Paesi Bassi.
I prezzi fissati dalle borse finanziarie per le comodities, oltretutto, sono riferibili a operazioni “spot” ossia a operazioni singole estranee alle forniture continuative regolate da appositi e specifici contratti.
Il sistema della fissazione dei prezzi e , in genere, tutto il mercato del gas, è complesso per le diverse unità di misura utilizzate.
L’unità di misura utilizzata per il prezzo espresse nelle borse finanziarie è il MWh, cioè un milione di Watt, che misura la quantità di energia fornita, e corrisponde a circa 10,70 Smc, la quantità di consumo addebitata in bolletta, che può variare in base alla temperatura e alla pressione (PCS) della località in cui viene erogato. Per complicare, l’importazione avviene in m3, e l’Istat la quantifica in kg, dove ogni m3 vale 1,49 kg. Al di là di queste complicazione i dati complessivi qui riportati possono essere considerati coerenti e sufficientemente rappresentativi.
l’energia elettrica
L’energia elettrica, e l’aumento dei prezzi, sono un problema tutto dipendente da quanto sta accadendo con il gas naturale.
L’energia elettrica, al contrario del gas, non si trova in natura, si produce con diverse metodologie con l’uso di fonti, che possono essere rinnovabili o fossili e di cui il gas naturale, che rientra tra le fonti fossili, è la principale, nel 2020 e, come si vede dal grafico, è utilizzato per la produzione del 49,3% del totale di energia elettrica.
L’utilizzo di fonti fossili totali sono scese dal 81,39% del 2000 al 57,6%, e il carbone ed il petrolio, sono quasi scomparse, principalmente, per ragioni economiche perché il gas naturale costa ma, forse, costava meno.
La riduzione, pur consistente, dell’utilizzo delle fonti fossili, vedasi il grafico dei consumi, non ha creato alcun problema per gli utenti e, infatti, i consumi sono rimasti praticamente costanti nell’arco degli ultimi venti anni.
La crescita della produzione con rinnovabili diventa l’obiettivo principale non solo per le questioni ambientali, pur importanti, ma perchè l’energia elettrica è lo strumento che ci libererà dalla dipendenza da Paesi produttori dove, per la maggior parte, la democrazia è solo una parola e dove la stabilità dei governi, ma anche il benessere dei cittadini, è solo un ipotesi.
Il gas naturale, inoltre, è una fonte di energia fossile esauribile, secondo dati forniti da vari centri studi l’esaurimento dovrebbe avverarsi entro 50/60 anni, cioè domani, e questo deve spingere la politica ad adottare provvedimenti di riduzione del suo utilizzo cominciando proprio dalla produzione di energia elettrica attraverso l’aumento delle fonti rinnovabili che potrebbero, oltre ad essere più economiche, contribuire a ridurre il consumo di gas naturale delle utenze domestiche.
I consumi
I consumi di gas, negli ultimi venti anni, sono stati sostanzialmente costanti e, a parte l’eccezione del 2014, oscillano tra i 60 e i 70 Gmc, (i consumi del 2000 furono 68,8 Gmc e, nel 2020, 68,5 Gmc). Quello che interessa notare è la riduzione di circa il 50% dei consumi dell’industria e di un quasi corrispondente aumento dei consumi per la produzione di energia e calore, gli altri settori sono sostanzialmente costanti.
Si tratta, quindi, di intervenire per la riduzione del gas naturale nella produzione di energia elettrica cosa che può essere fatta dimenticando le esigenze di profitto di alcune società di settore, quelle che importano, distribuiscono e vendono gas, partendo da ENI che è il maggior operatore nel settore degli idrocarburi.
Bisognerà affrontare il problema che si porrà per gli azionisti ed i proprietari degli operatori che, in conseguenza di un cambio radicale delle attività di gestione del settore potrebbero avere ripercussioni negative di carattere finanziario. È una condizione implicita negli investimenti finanziari, normalmente chiamati capitale di rischio che, se quotati, sono anche strumento di speculazione attraverso capitalizzazioni virtuali di cui sono consapevoli, mentre se non sono quotati rientrano in quello che è il rischio d’impresa nel quale rientra, ciclicamente, anche l’effetto della evoluzione socio economica che porta ai cambiamenti anche delle tipologie delle attività.
Fino ad oggi le ripercussioni negative le hanno subite le famiglie e le imprese, in particolare le piccole e medie che hanno creato il benessere di questo Paese creando occupazione.
Non si tratta di cambiare o ridurre i consumi ma di cambiare le fonti di produzione per garantire maggiore economicità e garantirne l’accessibilità.
I costi accessori e il costo annuo totale per l’utente
La tariffa, sia per il gas naturale che per l’energia elettrica, è composta da altre componenti di costo di cui le tabelle fornisco maggiori dettagli. Sono tabelle relative al costo complessivo per l’utente con una ipotesi di costo annuale per il 2022 le cui componenti sono state calcolate sulla base della media delle componenti tariffario dei primi mesi dell’anno predisposte da ARERA per il mercato tutelato.
Per quanto riguarda i consumi sono stati utilizzati i consumi per una famiglia tipo, rilevati da ARERA e pari a kWh 2.700 annui per l’elettricità e Smc 1400 annui per il consumo di gas naturale
fonte: ARERA – tariffe mercato tutelatoPer quanto riguarda il gas naturale, a parità di consumo, il maggior costo è di € 617 con un aumento sull’anno precedente del 52,60% nonostante il Governo sia intervenuto, con il d.l. 130/2021, alla riduzione dell’IVA, dal 10% al 5%, e la riduzione degli oneri generali di sistema, già dall’ultimo trimestre del 2021, ma non è stato sufficiente ad evitare gli effetti sulla maggior parte delle famiglie.
Quanto successo per il gas naturale, lo si rileva anche per quanto riguarda l’elettricità con un aumento di 584 euro in rapporto all’anno precedente pari al 101,27%, cioè il costo dell’energia elettrica si è raddoppiato rispetto al 2021. Anche in questo caso il Governo è intervenuto con l’azzeramento degli oneri generali di sistema ma non ridotto l’IVA che è rimasta del 10%.
L’aumento dei costi non si limita alle bollette del gas e dell’elettricità, si ripercuoterà anche su tutti i consumi delle famiglie poichè, come è normale, tutti i rincari dei costi di produzione di beni e servizi che le imprese dovranno sostenere si trasferiranno sui beni e servizi, anche necessari ed irrinunciabili.
Effetti
Tutto questo ha avuto ripercussioni pesanti sulle “bollette energetiche” delle famiglie già dall’ultimo trimestre del 2021, raddoppiando il costo rispetto agli stessi periodi degli anni precedenti, oltre ad avere gravi effetti negativi anche sulle aziende con incrementi di costi non sostenibili che lasciano due ipotesi, quella della chiusura, con conseguente aumento della disoccupazione, o quello dell’aumento dei prezzi di vendita dei beni e servizi prodotti, ove possibile, che si trasferisce sui consumatori già stressati per il costo delle “bollette”.
Inevitabile sarà una elevata inflazione e, non essendo possibile aumentare stipendi e salari da parte delle aziende già in difficoltà, seguirà una pesante contrazione della domanda interna che si trasformerà in recessione, nonostante i nostri governanti cerchino di tranquillizzare negandone, per l’anno 2022, qualsiasi ipotesi. Gli interventi dello Stato, pur necessari per salvare il salvabile, tamponano la situazione ma non la risolvono poichè quanto destinato al problema dovrà essere sottratto dalla spesa pubblica, magari riducendo servizi e investimenti, o portato in aumento del debito pubblico già eccessivo.
Gli effetti negativi non riguardano solo la salute, garantita dall’art. 32 della costituzione ma, anche una pluralità di diritti costituzionali iniziando dall’art. 3 che sancisce il principio che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Effetti negativi sui diritti costituzionali sono violazioni degli obblighi costituzionali che le Istituzioni repubblicani devono rispettare e far rispettare.
Come fermare le troppe speculazioni?
Bisogna, con tempestività, affrontare il problema in modo diverso da quello sin qui seguito, cosa possibile perchè la realtà è un’altra. È necessaria una riforma radicale del sistema attuale.
Carlo Cottarelli, il 14 marzo scorso, con un articolo sulla Stampa [link], denunciava il fatto che il prezzo realmente pagato all’importazione è stato, dal giugno 2021, notevolmente inferiore a quello finanziario del mercato TTF che viene utilizzato per la quantificazione delle tariffe anche di quelle del “mercato tutelato” fissato trimestralmente da ARERA. L’articolo aveva un titolo significativo: “Troppe speculazioni sul gas: il governo deve fermarle“.
Il 15 marzo, l’Istat, con un comunicato stampa, informa che nella rilevazione dei dati per il periodo luglio-dicembre 2021, il “malfunzionamento di alcune procedure di controllo e correzione degli outlier ha determinato una sottostima dei dati” con specifica dei dati errati. La differenza è notevole ma il problema resta poiché il prezzo del mercato TTF continua a rimanere più alto di quello realmente pagato.
La linea rossa del grafico, andamento dei prezzi pagati secondo l’Istat, inserita utilizzando i dati rettificati, esprime in modo chiaro l’anomalia.
Rimane qualche perplessità anche in relazione ai dati rettificati da Istat poichè generalmente gli importatori non “spot” hanno con il fornitore contratti di durata ultradecennale che hanno anche la funzione di sottrarre il prezzo al mc del gas dagli andamenti speculativi dei mercati finanziari tra i quali il prezzo TTF rientra.
Le perplessità, così come la tassativa affermazione del prof. Cottarelli, trovano riscontro e conferma nel grafico con i risultati operativi di ENI S.p.A., il cui socio di riferimento è lo Stato, con una quota del 30% ripartita tra CDP S.p.A., 25,96%, e Ministero dell’Economia e delle Finanze, 4,37%, e principale operatore nel settore con una importazione di gas naturale pari al 47,6% delle importazioni totali.
ENI ha realizzato, nell’ultimo trimestre un utile operativo di € 5,691 miliardi con un aumento del 205,6% sul primo trimestre che, per consumi, ha caratteristiche simili e inferiore alla somma dei nove mesi precedenti per solo 1 miliardo di euro, dovuto al fatto che l’incremento dei prezzi TTF è iniziata nel III trimestre, l’aumento del 189% nel primo trimestre 2022 sul corrispondente trimestre dell’anno precedente, conferma l’assurdità di quanto sta accedendo.
L’utile operativo di ENI, estratto dai rendiconti trimestrali e dal bilancio consolidato includono altre tipologie di ricavo e anche quelli prodotti fuori dal territorio italiano e, quindi, non rappresentano unicamente quanto successo nel mercato del gas naturale, ma un dato complessivo comunque indicativo degli effetti dell’aumento dei prodotti energetici, anche perchè le variazioni, significative, dei ricavi e dell’utile operativo non sono di quantità ma di valore.
La parte post gestione operativa non è stata presa in considerazione non essendo dovuta all’attività caratteristica ma ad altri elementi, quasi sempre di natura finanziaria, specialmente nelle società quotate che hanno criteri valutazione diversi da quelli ordinari. Il risultato operativo, al contrario, è quello che si produce con le vendite di beni o servizi agli utenti e che produce, comunque e in particolare quando troppo alti, effetti negativi sulle famiglie e sulle imprese, cioè sul sistema socio economico.
Come si possono fermare le troppe speculazioni? Se non si modifica la logica liberista di una gestione che ha come lo scopo il profitto ed il servizio è solo lo strumento per realizzarlo, non sarà possibile.
Le cause
Le speculazioni
Le speculazioni, cioè la massimizzazione del profitto, sono figlie di una scuola di pensiero, quella che ha teorizzato la supremazia dell’economia, in particolare della finanza, sulla politica.
Non è opinabile il fatto che gli operatori privati abbiano come obiettivo il profitto il più alto tecnicamente possibile, è legittimo e non è un complotto, è solo quello che il modello di società che viviamo consente. Poiché il modello di società lo scegliamo noi cittadini, come avviene in democrazia, con il voto non possiamo che prenderne atto.
La questione e le cause sono politiche e deve essere affrontata politicamente con la scelta di un modello che garantisca e tuteli tutti, che elimini la povertà, che elimini i disagi per le famiglie, che rilanci un sistema produttivo privato che sta soffrendo questa situazione, come ha sofferto durante la pandemia, e del quale non possiamo fare a meno se non vogliamo rientrare nel terzo mondo.
I modelli di società possibili sono due, quello dove l’economia domina la politica e quello dove l’economia è lo strumento della politica. È la medesima situazione dei “mercati” che hanno un ruolo, anche attraverso la concorrenza, per un maggiore equilibrio sociale, mi riferisco ai mercati reali, quelli delle imprese che producono beni e servizi, dove la finanza è strumento e non ai mercati finanziari dove le imprese sono lo strumento.
È un mondo al contrario.
Il liberismo e la deregulation
Milton Friedman, economista e premio Nobel, nel 1976, che ha influenzato le scelte liberiste e la deregulation, di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan, ebbe a dichiarare: “Una società che mette l’eguaglianza davanti alla libertà non avrà né l’una né l’altra. Una società che mette la libertà davanti all’uguaglianza avrà un buon livello di entrambe“.
In Italia, dove la deregulation, negli anni ’90 è stata assunta a sistema, i poveri, infatti, sono aumentati e diventati più poveri, quasi come i ricchi che sono anch’essi aumentati ma sono diventati più ricchi, come ha confermato il Premier Mario Draghi nel suo intervento al Senato del 21.02.2021 dichiarando: “In assenza di interventi pubblici il coefficiente di Gini, una misura della diseguaglianza nella distribuzione del reddito, sarebbe aumentato, nel primo semestre del 2020 (secondo una recente stima), di 4 punti percentuali, rispetto al 34.8% del 2019. Questo aumento sarebbe stato maggiore di quello cumulato durante le due recenti recessioni“.
La deregulation degli anni ’90 che ha privatizzato tutto, anche l’impossibile, che ha creato, anche in Italia, gli oligarchi, anche con amministratori nominati dalla politica con compensi milionari, che non sono imprenditori, hanno solo il pregio di avere degli amici, nella politica, non sono eletti ma nominati però dettano le regole alla politica ed ecco che avvengono le speculazione con l’impoverimento delle persone e il fallimento delle imprese.
L’importante non è l’erogazione del servizio secondo i principi della economicità, intesa come minor costo per l’utenza, dell’efficienza e dell’efficacia, sono i compensi elevati che, magari, in parte, finiscono ai partiti di riferimento, la remunerazione degli azionisti e la capitalizzazione che è solo un valore virtuale.
ENI, per rimanere in tema, è stata trasformata, nel 1992, in società per azioni con un capitale sociale di L. 8.000 miliardi convertito in € 4 miliardi il 1 gennaio 2001 che corrisponde all’attuale capitale sociale. La trasformazione in S.p.A. e la successiva privatizzazione non ha portato alcun beneficio alla società, ha consentito, però, al socio di incassare una cospicua somma attraverso la quotazione in borsa del 70% delle azioni. Le cessioni e gli acquisti, durante le giornate di borsa, sono completamente estranee alla società riguardando rapporti negoziali esterno che hanno solo come oggetto le azioni ENI.
Il 30.04.2022, la capitalizzazione di borsa, ossia il numero delle azioni per la quotazione del giorno, era di € 47,615 miliardi e alle singole azioni è stato riconosciuto un di dividendo di € 0,86, di cui la metà già pagata come acconto nel corso del 2021, per un rendimento del 6,42% che nessun piccolo risparmiatore, anche sottoscrivendo titoli di Stato, potrebbe percepire.
Cominciamo a smitizzare il ruolo di sviluppo che si vorrebbe attribuire alla finanza e alle capitalizzazioni di Borsa.
La quotazione in Borsa dovrebbe essere lo strumento per finanziare l’attività con la sottoscrizione di aumenti di capitale, diventando azionista, cioè socio, e, quindi, con una maggiore patrimonializzazione delle società evitando indebitamenti esterni che potrebbero essere causa di tensioni finanziarie al momento del loro rimborso. In tale meccanismo svolge un ruolo primario la Borsa, consentendo al sottoscrittore, risparmiatore, di realizzare il valore investito con la cessione delle proprie azioni.Non è così. Le società vengono quotate per consentire ai soci, antecedenti la quotazione, di fare cassa a titolo personale senza alcun beneficio per la società e la Borsa, attraverso strumenti finanziari e con criteri di valutazione che prescindono dal reale valore, permette attività speculative puramente che determinano l’oscillazione del titolo, con conseguenti utili o perdite, che con l’attività ed il patrimonio della società non hanno nulla a che vedere.
È quello che è successo nel 1994 con la quotazione di ENI, con Atlantia [*] e con la partecipazione in Autostrade per l’Italia [*], che ha consentito di acquisire la totalità del capitale di Autostrade detenuto da ANAS investendo pochi euro traendone, al contrario, miliardari profitti e in molti altri casi con quotazione di società senza alcun valore che hanno arricchito gli operatori, che sono una cosa molto diversa dagli imprenditori che hanno fatto crescere il nostro Paese.
Le Banche, che hanno abbandonato il ruolo storico di punto d’incontro tra il risparmio e gli investimenti per dedicarsi alle speculazioni finanziarie, hanno avuto un grosso peso nella degenerazione del sistema anche conseguenze che non possiamo, e non dobbiamo, dimenticare come la crisi dei subprime del 2008.
Tutto legittimo, è il modello di società introdotto dagli anni ’90 a legittimare la speculazione, la concentrazione della ricchezza e l’aumento della povertà assoluta e relativa e a farlo diventare sistema.
ARERA – la burocrazia
Ma il sistema ha creato anche una categoria di “privilegiati”, sono i dipendenti pubblici al servizio del sistema e non del Paese, non tutti, devono essere esclusi gli insegnanti, i sanitari, la magistratura, gli addetti ai servizi d’ordine e sicurezza e i militari ai quali non sempre viene riconosciuta la professionalità, mi riferisco a quelli che costituiscono la “burocrazia”, centro di inefficienza e incapacità, eppure sovra compensati nonostante siano improduttivi e causa principale della lentezza nella soluzione dei problemi.
L’esempio lo cogliamo, per restare nel tema della gestione dei servizi pubblici, nelle strutture che affiancano l’azione di governo, cominciando da ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) e dalla “galassia” di costi ed inefficienze che la caratterizzano.
ARERA è un autorità indipendente che, secondo la norma costitutiva, dovrebbe garantire- la promozione della concorrenza;
- l’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità;
- adeguati livelli di qualità dei servizi;
- economicità;
- redditività;
- fruibilità;
- la diffusione in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale;
- definire un sistema tariffario certo e trasparente;
- promuovere la tutela degli interessi di utenti e consumatori;
- armonizzare gli obiettivi economico-finanziari degli esercenti il servizio con gli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse.
ARERA ha fallito su tutti i fronti, ha garantito solo la redditività dei gestori come dimostrano le tariffe del “mercato tutelato” nel settore energetico, che dovrebbe adempiere all’ultimo punto delle sue funzioni, come si rileva dal fatto che il ricarico del costo del gas naturale, a copertura dei costi accessori e dell’utile dei gestori, è passato dal 39,7% del primo trimestre 2021 al 172,4% del primo trimestre 2022, ovviamente con riferimento al prezzo pagato dall’importatore, che è anche il gestore, e non del prezzo TTF che, essendo riferito ad operazioni “spot” non dovrebbe nemmeno essere preso in considerazione dall’Autorità. Forse è stato per favorire i gestori che il 3 agosto 2021 ha sottoscritto con ICIS Heren LNRS Data Services Limited l’abbonamento annuale alla banca dati “European Spot Gas ad un costo di € 21.570 (si noti che l’abbonamento è riferito a costi spot – ndr).
Anche nel settore idrico ARERA ha utilizzato, per la formazione della tariffa, criteri strani, se non fossero finalizzati all’aumento della redditività del gestore, trasformando le riduzioni in aumenti.
Un ulteriore esempio delle modalità adottate, ai soli fini di garantire la redditività dei gestori, sempre nel settore idrico, è stata l’istituzione, con specifica delibera, dei conguagli a carico degli utenti per l’annualità antecedenti l’assegnazione del settore alla regolazione di ARERA, chiamati “conguagli per partite pregresse”, che la Cassazione, con sentenza n. 17959/2021, ne ha dichiarato la illegittimità in quanto la delibera ARERA, essendo un provvedimento amministrativo, non può porsi in contrasto con la legge e nello specifico con l’art. 11 delle Preleggi, che dispone il principio di irretroattività della legge. E, adesso, chi rimborsa gli utenti delle centinaia di milioni di euro illegittimamente riscossi dai gestori?
ARERA, sulla home page del proprio sito web, afferma che “Le risorse per il suo funzionamento non provengono dal bilancio dello Stato ma da un contributo sui ricavi degli operatori regolati” senza precisare, però, che per effetto del Metodo Tariffario dalla stessa predisposto, i gestori trasferiscono il costo agli utenti inerendolo nella tariffa. È vero, nel bilancio dello Stato, però per gli utenti, cittadini e imprese, la sostanza non cambia poichè il costo è assimilabile alla fiscalità generale in quanto non ricevono un servizio da ARERA, che svolge una funzione istituzionale.
Il costo di ARERA non è insignificante e presenta diverse stranezze e criticità, vediamole.
ARERA occupa 208 dipendenti, di cui 18 dirigenti, 143 funzionari (?), 43 operativi e 2 esecutivi, la cui retribuzione media annuale, secondo i dati di bilancio, ammontano a € 151 mila contro una retribuzione media nazionale di € 229 mila, spende 2,3 mln di euro per affitti pur avendo acquistato, in centro storico di Milano, un immobile di pregio, inutile per la sua attività che, peraltro, non ha necessità di rappresentanza, per 53 mln di euro mentre lo Stato svende le proprie proprietà per fare cassa e, nel 2020, ha realizzato un utile di € 5.740.458,41. L’ulteriore stranezza sono i depositi bancari, cioè le disponibilità liquide, che ammontano a 122 mln di euro e non servono a nulla avendo l’Autorità debiti a breve termine per 6,7 mln di euro. ARERA non è un’autorità indipendente è una finanziaria indipendente. Il tutto con denaro prelevato dalle tasche degli utenti, cittadini e imprese.
Le società e gli enti pubblici economici
Nella galassia ARERA abbiamo anche CSEA, Cassa Servizi Energetici e Ambientali, ente pubblico economico sottoposto alla vigilanza di ARERA e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la cui missione principale è la riscossione di alcune componenti tariffarie, extra e aggiuntive alla tariffa, dagli operatori, o meglio dagli utenti, che nel 2020, ad esempio, sono ammontati a € 6.553.775.198 di cui € 4.006.986.000 sono state riversate ai gestori. 
CSEA, inoltre, ha ricevuto, nel 2020, contributi dallo Stato, Regioni e altri Enti pubblici € 1.030.556.016 non si capisce per quale ragione considerato che l’Ente non svolge attività diverse da quelle della riscossione e non fa investimenti di alcun tipo e natura, infatti, sui conti correnti disponibili risultano depositati € 6.034.157.612 che, a parte € 2.726.143.000, debito nei confronti di GSE per contributi incassati attraverso le tariffe e non versati, a nulla servono.
CSEA, inoltre, ha ricevuto, nel 2020, contributi dallo Stato, Regioni e altri Enti pubblici € 1.030.556.016 non si capisce per quale ragione considerato che l’Ente non svolge attività diverse da quelle della riscossione e non fa investimenti di alcun tipo e natura, infatti, sui conti correnti disponibili risultano depositati € 6.034.157.612 che, a parte € 2.726.143.000, debito nei confronti di GSE per contributi incassati attraverso le tariffe e non versati, a nulla servono.
G.S.E., partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, è un’altra società che opera nel settore energetico, con ricavi per 13,175 mld di euro di cui 11,6 mld di euro provenienti dalla bollette pagate dagli utenti, quelli incassati da GSE che non fanno parte del costo dell’energia, sono costi aggiuntivi destinati alla ricerca, quella che dovrebbe essere pagata dalla fiscalità generale. GSE controlla, GME S.p.A., Gestore dei Mercati Energetici, che dovrebbe avere la funzione di monitoraggio dei prezzi dei prodotti energetici ma che non gode di particolare considerazione da parte degli operatori, effettua anche acquisti e vendite di prodotti energetici a pronti, cioè quelli spot che sono funzionali alle operazioni speculative, e RSE S.p.A., Ricerca sul Sistema Energetico, che “sviluppa attività di ricerca nel settore elettro-energetico, con particolare riferimento ai progetti strategici nazionali, di interesse pubblico generale, finanziati con il Fondo per la Ricerca di Sistema Elettrico” come riportata nel sito della società.Il lobbismo
Tra le cause non si può escludere anche la lobby, cioè la pressione ed il condizionamento della politica e dei governi finalizzato all’interesse economico di un impresa o di un gruppo di imprese. Il lobbismo è figlio della prevalenza della logica economica, in alcuni Paesi è legittimato, come negli U.S.A., dove deve essere dichiarato, in altri tollerato, come in Italia. Purtroppo spesse volte è corruzione e cioè malaffare.
UTILITALIA, l’associazione degli operatori del settore dei pubblici servizi, che per la maggior parte, anche come peso economico, sono pubblici o a controllo pubblico, ha come scopo “la rappresentanza, la promozione e latutela degli interessi (generali e particolari) degli associati nei settori di attività in cui essi operano e nel campo finanziario, economico, tecnico, industriale, legale ed amministrativo – in ambito sia nazionale sia internazionale […..] nei rapporti con: il Parlamento ed il Governo per la definizione delle condizioni generali inerenti la gestione dei servizi gestiti dagli associati; l’Autorità di regolazione per Energia Reti e Ambiente; l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; l’Autorità garante della concorrenza e del mercato; e la Commissione di garanzia ex legge 146/90; nonché con altri organismi, enti ed Autorità competenti nella regolazione dei servizi riguardanti i settori di attività della Federazione, ivi espressamente incluso il settore ambientale;“. [*] L’associazione deve, praticamente, tutelare i propri interessi (generali e particolari) dagli organismi legislativi, di governo e altre Istituzioni pubbliche dello Stato che, nella maggior parte, è anche il socio di riferimento e di controllo.
UTILITALIA partecipa ed è socia, come riportato sul suo sito web, di due fondazioni, Fondazione Rubes Triva e Fondazione Utilitatis, di cui non si comprende chiaramente l’attività svolta e, inoltre, non può essere socia in quanto, nelle fondazioni, non esistono i soci.
Confservizi CISPEL è il sindacato d’impresa che rappresenta e tutela gli Associati che operano nei settori dei servizi pubblici a rilevanza industriale ed è una federazione costituita da ASSTRA – Associazione Trasporti e UTILITALIA, cioè un doppione, con le stesse funzioni delle associazioni federate anche se alcune come Confservizi CISPEL Toscana è più chiara ed esplicita sottolineando che “partecipa alla redazione delle leggi e degli atti regionali sulle materie in cui operano i propri associati“, cioè svolge attività lobbistica perchè la formazione e redazione delle leggi e degli atti regionali è funzione di competenza degli organismi eletti democraticamente dal popolo e da nessun altro.
Quelle indicate, tecnicamente giustificate, anche se l’unica logica è quello del profitto e della creazione di centri poteri, utilizzano centri studi e di consulting, magari opportunamente promossi, che attraverso documenti e pubblicazioni, spesso molto vicini alle “fakes news” perchè riportano dati parziali che impediscono una corretta valutazione. L’esempio classico è quello della indicazione delle tariffe, indicando vari Paesi del centro-nord europee con tariffe più alte di quelle italiane senza però compararle ai redditi medi familiari che sono generalmente più alti di quelli italiani, vanno dal 20% al 122% in più, però fanno maggiori investimenti, hanno una distribuzione dei redditi più equa, l’Italia è uno dei Paesi con l’indice più alto, hanno servizi sociali più efficiente e meno onerosi di quelli italiani e hanno una burocrazia efficiente e non penalizzante come quella italiana.
Quando si fanno delle comparazioni non si può utilizzare un solo parametro, le tariffe, bisogna fare un’analisi completa dei sistemi socio-economici presi a riferimento, cosa, peraltro, abbastanza agevole essendo disponibili, gratuitamente, tutti i dati necessari grazie a Eurostat, organizzazione di elaborazione e predisposizione di tutti i dati statistici, anche storici, dell’Unione Europea. Ovviamente, nell’interesse dei committenti, devono essere presi in esame, al fine di aumentarle, cioè le tariffe.
Nel 2019, essendo in discussione, alla Commissione Ambiente della Camera, la proposta di legge per la ripubblicizzazione del servizio idrico, questi centri studi, ovviamente nell’interesse dei committenti, i gestori, hanno 
cliccare sull’immagine per leggere il dossierpredisposto dei dossier che quantificavano in 20/25 miliardi il costo per l’attuazione della legge, per spaventare i parlamentari ed evitarne l’emanazione. Tutta le maggiori testate di stampa hanno dato ampio risalto, con titoli cubitali e intere pagine, al dossier ovviamente per condizionare l’opinione pubblica, cioè i cittadini, che troppo spesso non si informano. Del resto è comprensibile i giornali vivono di pubblicità ed i gestori dei servizi pubblici, anche se non necessaria operando, di fatto, in regime di monopolio naturale, ne fanno molta.
cliccare sull’immagine per leggere il dossierpredisposto dei dossier che quantificavano in 20/25 miliardi il costo per l’attuazione della legge, per spaventare i parlamentari ed evitarne l’emanazione. Tutta le maggiori testate di stampa hanno dato ampio risalto, con titoli cubitali e intere pagine, al dossier ovviamente per condizionare l’opinione pubblica, cioè i cittadini, che troppo spesso non si informano. Del resto è comprensibile i giornali vivono di pubblicità ed i gestori dei servizi pubblici, anche se non necessaria operando, di fatto, in regime di monopolio naturale, ne fanno molta.Perplessi per una quantificazione che pareva paradossale, visto anche che la gestione del servizio idrico è in carico per il 98,69% è in carico a società a capitale pubblico o a maggioranza pubblico, in collaborazione con il Forum dei Movimenti per l’Acqua, l’insieme di associazioni e comitati di cittadini che avevano promosso e vinto il referendum per l’Acqua pubblica del giugno 2011, abbiamo predisposto un dossier che in modo analitico e documentato ha dimostrato che il costo, al massimo avrebbe potuto essere di 1/1,5 mld di euro. Nessun organo di stampa l’ha menzionato, magari anche solo per criticarlo ma, forse, non avevano elementi sostenibili per farlo. I lettori cittadini comprano solo il giornale non fanno pubblicità e, quindi, non rientrano nella categoria dei portatori di interesse, odiosamente chiamata stackeholders, devono solo accettare e subire quello che le lobby vogliono e stare zitti.
Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, si è lamentato, giustamente, per il grosso problema creato dalla crisi energetica e dall’andamento dei relativi costi, però, si è dimenticato di ricercare le cause che lo avrebbero portato ad esprimere giudizi negativi nei confronti dei gestori e delle loro speculazioni ma non poteva fare diversamente considerato il peso, anche politico, che hanno nella sua associazione.
Tutto questo con denaro degli utenti nonostante queste organizzazioni operino nell’interesse dei gestori, quelli che realizzano grossi profitti, sempre con denaro degli utenti. Sono le stranezze del nostro Paese.
La lobby non è sinonimo o espressione di un complotto, è solo la cura dei propri interessi particolari, in contrasto con quelli generali, che il nostro modello di società e sistema e consente, in questa logica, che Carlo Stagnaro, direttore di ricerca dell’Istituto Bruno Leoni che il padre di tutte queste degenerazioni economiche anti sociali con le sue teorie liberiste. Aver cura dei propri interessi particolari è legittimo tocca a chi compete, quelli che sono espressione della democrazia delegata, non consentire quello che è contrario agli interessi generali. In Italia, piaccia o non piaccia all’Istituto Bruno Leoni, la Costituzione, con l’art. 41, fissa il principio che l’iniziativa economica privata è ma anche che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e, con l’art. 43, afferma che ai fini dell’utilità generale possono essere trasferite allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti imprese o loro categorie riferite “a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. Si tratta solo di definire l’utilità generale e, questo, compete alla politica.
L’unico lobbismo accettabile, che purtroppo non viene mai esercitato, è quello del popolo, nell’interesse generale e non dei singoli, che non ha un peso economico ma un peso più forte che è quello elettorale con il quale, in modo democratico, che nei paesi occidentali è possibile anche se oggi il dominio è economico, e attraverso il “voto”, può rivoluzionare il sistema restituendo al popolo la sovranità che gli compete.
La responsabilità
La politica
La tendenza alla privatizzazione viene motivata con la incapacità delle strutture pubbliche, anche per la corruzione e la clientela politica, ad assolvere ai loro compiti, in questo trovano spazio le tesi liberiste.
La politica ha dei doveri, quelli di qualificare la gestione pubblica, di combattere la corruzione e di eliminare le clientele, altrimenti è completamente inutile. Il problema di una spesa pubblica eccessiva e di un conseguente strumento del debito pubblico sta anche in una politica incapace e lontana dalle sue funzioni di indirizzo e progetto del futura.
Quando una classe politica non funziona i cittadini hanno il diritto ed il dovere di cambiarla. La democrazia lo consente a condizione che le persone, pur mantenendo la collocazione ideale, riescano a liberarsi dalle appartenenze e dagli schieramenti.
Le speculazioni sono parte del patrimonio culturale delle persone.
gli effetti
[*] La famiglia tipo ha consumi medi di energia elettrica di 2.700 kWh all’anno e una potenza impegnata di 3 kW; per il gas i consumi sono di 1.400 metri cubi annui.
