Provo tristezza per tutto quello che sto leggendo, fake news, teorie complottiste, polemiche politiche e quant’altro, fuori luogo e fuori tempo.
Provo nausea per una propaganda partitica, più o meno sottesa, caratterizzata dalla parzialità e dall’appartenenza, cioè dal “tifo”.
Oggi bisognerebbe stare zitti, o almeno lontani dalle polemiche, per rispetto degli oltre 20.000 morti provocati da questa pandemia e delle loro famiglie che non hanno nemmeno potuto confortare, con la loro presenza, chi è venuto a mancare.
Ieri ho sentito la registrazione di una persona di 83 anni che chiedeva aiuto perché da tre giorni non mangiava e aveva fame. M’è venuto il “magone”. È retorica? Può essere, anche se credo sia solo sofferenza.
Quando sento l’individuazione di chi realmente sta soffrendo e subendo questa situazione, con il termine, odioso ma purtroppo reale, degli “ultimi”, provo rabbia e rancore.
Vogliamo provare a risolvere i problemi dell’oggi di queste persone? Non sono gli ultimi, sono i primi ad avere bisogno.
Com’è possibile discutere sulla necessità di riaprire, ad esempio, le attività sportive, quando c’è gente che muore per il virus o perché non riesce nemmeno a mangiare.
Vorrei sentire discussioni su come evitare che ci siano persone, magari anche bambini, che dicono “ho fame”. Retorica? Vero, tutta retorica ma forse utile per capire quali sono i veri problemi. Forse, però, la vera retorica è banalizzare o ignorare i veri problemi. Quando in un Paese, o meglio, in una società, esistono gli “ultimi” e lo Stato si affida al volontariato, non sempre sincero, qualcosa non funziona.
Tutto il resto non è retorica sono solo “palle” inutili, è propaganda, è autoreferenzialità, è narcisismo. Tutto inutile, non è retorica, è populismo e qualunquismo, è egoismo.
È evidente che ci sono stati errori, gravi, nel passato, in particolare della politica, tutta, che hanno condizionato anche molti errori dell’oggi.
Si dovrà arrivare, a tempo debito, alla resa dei conti. Non, però, ad una resa dei conti tra partiti o dei “tifosi” che rischierebbe solo di essere una faida, una lotta tra clan, come quelle odiose che abbiamo avuto la disavventura di conoscere nel nostro Paese.
La resa dei conti dovrà essere fatta dai cittadini, dagli italiani uniti, anche nella solidarietà, che, probabilmente, come diceva Gino Strada, si sta formando grazie ad un nuovo virus che sta attraversando il Paese, speriamo.
Da questi italiani, tutti, cui affidare la resa dei conti dovranno essere esclusi chi non riesce a liberarsi dall’appartenenza, non perché non hanno diritto di parola, ma perché schierati, condizionati e non obiettivi.
Questo è l’unico progetto politico cui dobbiamo mirare. Si chiama ripristino della democrazia e liberazione dall’occupazione dei partiti. È la nuova RESISTENZA.
La mia critica ai partiti non è rivolta solo alla destra, sarebbe scontata, ma anche a quelli dell’area politica in cui mi colloco, la sinistra e, in particolare, la sinistra radicale alla ricerca solo della sopravvivenza non della soluzione dei problemi di cui è pure responsabile.
Che senso ha, oggi, polemizzare sul ruolo e le colpe della finanza e del capitalismo che, peraltro, sono solo degli strumenti. Ci chiederemo e dovremo cercare di capire perché da strumenti si sono trasformati in sistema. Purtroppo, la sinistra sa affrontare i problemi, quelli veri, solo con stereotipi obsoleti e ampiamente superati.
Perché portare nelle case degli italiani argomenti tecnici come quelli del MES e simili che molti nemmeno conoscono e capiscono? Solo per fare terrorismo in un momento in cui bisognerebbe trasmettere un po’ di serenità e tranquillità?
Noto, peraltro, che molti commentatori, non solo sui social, ma anche giornalisti noti, continuano a parlarne senza conoscerli e capirli.
Perché in Lombardia abbiamo avuto oltre il 50% dei decessi di tutta Italia e l’8% dei decessi di tutto il mondo? Quali sono stati gli errori di ieri e di oggi che hanno determinato questa situazione? Di chi è la responsabilità? Non lo dimenticheremo e, come Italiani e Lombardi, pretenderemo delle chiare spiegazioni, non parole.
Non capisco nemmeno la polemica e la critica sulla posizione degli olandesi e dei tedeschi, che pure ritengo indegna, sulla questione degli aiuti economici all’Italia.
È evidente che un unione economica, senza un’unità politica, non può esistere. Come si fa a credere che Paesi tra loro autonomi, con interessi e sistemi sociali diversi, e in competizione economica, possano gestire l’economia e l’emergenza in modo unitario? È come credere che due coniugi divorziati possano continuare a gestire il proprio patrimonio come se fossero ancora una famiglia.
Se, a queste considerazioni, aggiungiamo il “sovranismo”, di cui Lega e FdI sono sostenitori e fautori e l’Olanda è un paese a guida sovranista, la conclusione è semplice e scontata. Perché mai l’Olanda dovrebbe farsi carico dei problemi dell’Italia e degli altri Paesi europei flagellati dal virus?
E’ la stesso trattamento che Salvini e Meloni vorrebbero riservare ai “migranti”. E’ normale raccogliere quello che si semina.
Superiamo le priorità, quella di non morire e quella di poter mangiare tutti i giorni, il resto lasciamolo a quando la pandemia sarà superata, sperando, nel frattempo che gli italiani aprano gli occhi. Se uniti potremo essere duri e determinati e, probabilmente, determinanti per un reale cambiamento.
Caro Remo, confesso che dopo aver letto la tua lettera non ho avuta altra reazione che chiedermi: se il “J’accuse” di Remo origina da una comprovata situazione di fatto, oggettiva, con chi e con che cosa possiamo/dobbiamo relazionarci per superare la fase di RESISTENZA e aprirci a suggestioni per un mondo nuovo?
E’ vero, il Covid-19 sta togliendo il velo a tante ipocrisie, cialtronerie, piccinerie, ma soprattutto ha accentuato una sorda e diffusa rancorosità che sta squassando il Paese più del morbo.
Non riprendo le cose che tu hai sottolineato perché in gran parte le condivido. D’altra parte come possiamo sorprenderci di questa deriva se negli ultimi decenni c’è stata una mutazione del lessico che tutto spiega?
Parole che la nostra generazione ha custodite come oracoli del vivere civile hanno assunto un’accezione negativa, sprezzante. Giustizia è diventato giustizialismo, popolo è diventato populismo, essere una persona per bene è diventato perbenismo, essere semplicemente buoni è essere orrendamente buonisti, nella vita e nello sport per riuscire bisogna essere cattivi, quando invece basterebbe essere bravi e competenti. Mi fermo qui, ma potrei continuare.
Quello che invece a me interessa, è relazionarmi e lavorare con la stragrande maggioranza delle persone che, nonostante siano oneste, sensibili e solidali, creative e aperte (quelle, per intenderci, che stanno contrastando il virus per solo interesse umanitario), non riescono a mordere in profondità questo sistema in profonda crisi. E cambiarlo.
Intendimi bene, non parlo di una rivoluzione che cambi solo il sistema economico. Non mi faccio più imbrogliare da sconvolgimenti lacrime e sangue, ma che non fanno fare un passo in avanti al livello di umanità che deve esserci tra le persone, tra le persone e l’ambiente, sotto qualsiasi cielo e con qualsiasi lingua. Così come non possiamo continuare a farci imbrogliare dai venditori di merci e di finanza, se queste non determinano un passo in avanti nel livello di umanità che deve esserci tra le persone, tra le persone e l’ambiente, sotto qualsiasi cielo e con qualsiasi lingua.
Allora, che fare? Semplicissimo.
Prendere pienamente coscienza dei quattro nuovi punti cardinali del Pianeta:
• i cambiamenti climatici, che stanno cambiando la geografia fisica e politica della Terra;
• la globalizzazione e le migrazioni di interi gruppi umani, per le cause che tutti conosciamo (non le ripeto);
• la rivoluzione digitale, immensamente più mutagena sul nostro vissuto rispetto all’invenzione della macchina;
• le nuove frontiere della ricerca scientifica, soprattutto in fisica e nella manipolazione delle strutture e dei codici dei viventi.
Se a livello mondiale riuscissimo a cogliere appieno le dinamiche dell’antropocene destinate, già da ora, a cambiare tutto, ci metteremmo sulla buona strada. Questa consapevolezza e il desiderio di salvare il mondo con tutti gli esseri imbarcati farà nascere un “uomo nuovo”, capace di produrre nuove e più avanzate forme di pensiero, che a loro volta produrranno nuove e più avanzati livelli di convivenza.
Utopia? Forse. Pura illusione? Può darsi.
Edoardo Galeano avrebbe osservato: “L’utopia è là nell’orizzonte. Mi avvicino di due passi e lei si distanzia di due passi. Cammino 10 passi e l’orizzonte corre 10 passi. Per tanto che cammini non la raggiungerò mai. A che serve l’utopia? Serve per questo: perché io non smetta mai di camminare.”