Egregio Direttore
Ho letto con attenzione il suo editoriale relativo alla riforma del servizio idrico del 4 marzo e, mi permetta, di non condividerlo. Ovviamente, non è un problema perché le opinioni sono strettamente personali e sempre legittime e rispettabili.
Mi lasciano, però, perplesso alcune affermazioni che contrastano con la realtà e non con le opinioni. Lei afferma che il 97,6% delle gestioni sono già pubbliche, vero, se tra le pubbliche consideriamo anche le società quotate o, generalmente, le società a capitale misto. È una considerazione formale e non sostanziale. Le società pubbliche sono tali se sottoposte al controllo di uno o più Enti o Istituzioni pubbliche in modo reale e non formale. Le società quotate, come definite dal decreto Madia del 2016, tra l’altro, sono completamente svincolate dagli obblighi di trasparenza e dalla normativa per l’anticorruzione.
Siamo, comunque, in presenza di società, anche totalmente pubbliche, che operano in una logica di natura privatistica.
L’anomalia è nella gestione di servizi essenziali e di grande funzione sociale da parte di società di diritto privato. L’art. 2247 del codice civile definisce la società come “contratto tra due o più persone che conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Poiché, dalla legge Galli ad oggi, il principio che regola il servizio idrico è quello del Full Cost Recovery, ossia di tariffe che devono coprire i costi di gestione e degli investimenti, l’utile, non essendo un costo, non dovrebbe esistere. Non si tratta di tornare alla situazione ante Legge Galli, ma di ripristinare una degenerazione che è andata oltre, trasferendo costi inesistenti agli utenti.
Sono anche questi i motivi per cui auspico il passaggio delle gestioni ad Aziende Speciali, ente imprenditoriale pubblico. Per una società di diritto privato lo scopo è il profitto (legittimo), il servizio è solo lo strumento per realizzarlo. In un’Azienda Speciale, l’efficacia, l’efficienza e l’economicità, intesa come minor costo per l’utente, sono lo scopo. Lo dice il Testo Unico Enti Locali, lo dice il Codice dell’Ambiente ma è anche nella natura delle cose. L’Azienda Speciale impedisce anche il brutto vizio del riciclaggio dei politici, attribuendo la gestione ad un direttore, esecutore degli indirizzi provenienti dagli Enti, e lasciando senza ruoli specifici i Consigli di Amministrazione.
Utilitalia, l’Associazione dei gestori, controparte, quantifica in 15miliardi il costo dell’operazione. Altri, ricercatori, in 23miliardi. Lo dimostri con numeri reali non con semplici affermazioni. Ho riclassificato i bilanci delle società private e miste rilevando un patrimonio sociale complessivo di ca. 4miliardi di cui oltre il 50% pubblico. Il rischio degli indennizzi? sembra una contraddizione. Se il pubblico rappresenta il 97,6%, compreso le società miste dove il pubblico detiene la maggioranza, ed in questo caso la forma supera la sostanza, non è possibile che il pubblico chieda indennizzi a sé stesso.
C’è il problema dei grossi investimenti, in parte già a carico dello Stato. Chiariamo, una volta per tutte la realtà. Gli investimenti vengono fatti, per la maggior parte dai gestori ricorrendo al debito che viene rimborsato con la quota inserita in tariffa, cioè dagli utenti. Da una rivisitazione dei piani tariffari, con comparazione dei bilanci dei gestori, si è rilevato che, con una riduzione del 25/30% (!) delle tariffe, si può garantire tutti i costi della gestione e degli investimenti,
Secondo l’editoriale solo le società, pubbliche o miste, potrebbero accedere ai mercati di capitale. Non sta scritto da nessuna parte. Certamente le Aziende Speciali non potranno quotarsi ma, questo, è ininfluente, anzi eliminare ogni forma speculativa dal servizio idrico è auspicabile. Per quanto riguarda gli altri strumenti, probabilmente, gli enti imprenditoriali sono più graditi, in quanto non soggetti a fallimento e non distribuiscono dividendi, in qualche caso anche superiori agli utili realizzati.
Le tariffe. Prendendo proprio l’esempio da lei fatto, Roma, con una tariffa di € 1,49 per mc., ha realizzato, negli ultimi quattro anni, un utile medio di € 115.596.686, pagato imposte per € 40.230.847 (senza utile non ci sarebbero, o quasi, imposte), con un utile netto medio di € 75.365.838 e dividendi per € 65.836.538. Non credo sia il caso di aumentare la tariffa ad oltre 4 euro.
Non bisogna nemmeno dimenticare che il servizio idrico è svolto in regime di monopolio naturale e che le tariffe e il vincolo dei ricavi del gestore, inventato da ARERA (indipendente?) è una forma di vessazione per il cittadino da cui non può sottrarsi.
La prego, lasci perdere Maduro, questa legge, di iniziativa popolare, è voluta da 400.000 sottoscrittori e confermata, nel 2011, da 27milioni di Italiani. Non intendo difendere questa maggioranza “legastellata”, dalla quale, anzi, prendo le distanze, ma cerco solo di interpretare la maggioranza degli Italiani. Non sta affondando il servizio idrico ma tutto il Paese soggiogato alle logiche economiche della finanza e del denaro.
