Marcella Panucci, direttore di Confindustria, ritiene che il referendum abbia solo motivazioni politiche e peggiorato i servizi, invita a rimetterne in discussione gli esiti aprendo i servizi pubblici locali ai privati. Può il direttore di un Ente che rappresenta 150mila iscritti mettere in discussione la volontà di 27milioni di italiani? Le opinioni, pure se non condivise, sono tutte legittime, ma non possono discostarsi dalle legge; l’esito referendario, espressione della sovranità popolare, dovrebbe essere ancora più vincolante. Esprimere dissenso nell’ambito di un convegno internazionale, senza averne titolo e ruolo, è grave e censurabile. Vuole, forse, cancellare la sovranità popolare e consegnare il governo del Paese ad una oligarchia, quella di Confindustria o di altra lobby. Non glielo permetteremo.
In questo Paese bisogna rimettere un po’ di ordine, ognuno faccia la sua parte senza occupare ruoli di altri. Confindustria sia più incisiva nella salvaguardia del sistema industriale di questo Paese nell’interesse non solo dei 150mila iscritti ma anche degli oltre 5milioni di lavoratori. Questo è il suo ruolo, se non vuole fare lobby a tutela di pochi e a danno di tanti. Quando fa lobby per pochi, danneggia anche i propri associati. I servizi pubblici locali gestiti da privati, per garantire il profitto, costano troppo e nemmeno offrono qualità del servizio. Confindustria, da sempre, denuncia l’eccessivo costo delle utenze come una delle cause delle difficoltà per le aziende; non ha mai provato, con i suoi centri studi, a verificarne le cause? Forse non può, i poteri forti e la finanza che la condizionano non lo permettono.
Non è un caso, ad esempio, che il costo più elevato dell’acqua è nelle provincie di Firenze, Prato, Pistoia. Se così non fosse, Publiacqua, società privata, non potrebbe realizzare un ebitda di € 81.501.740 pari al 39% dei ricavi. Quante aziende associate a Confindustria possono permettersi simili risultati? La stessa cosa vale per l’erogazione di energia elettrica e gas. I servizi pubblici non possono produrre profitti perché ne aumentano il costo e pesano eccessivamente sull’economia delle famiglie e delle imprese.
La concentrazione dei servizi in multiutilities, che potrebbe avere una logica se realizza sinergie e ottimizzazioni di costi, è, nella realtà, funzionale solo all’incremento dei profitti in un regime quasi monopolistico.
Una maggior attenzione al territorio, alla qualità del servizio e alla economicità della gestione possono essere il sostegno ed il volano per una reale ripresa sociale ed economica. Non è il modello di gestione ma la modalità della gestione che non ha funzionato creando sprechi, clientele e malaffare. Purtroppo, nel nostro Paese, le società a capitale pubblico sono pubbliche nelle forma ma private nella sostanza. Questo non funziona. È la politica che deve cambiare registro. È l’incontro della politica con l’interesse privato a creare problemi. Non è un caso che presidenti e direttori di Confindustria, ma non solo, critici nei confronti del pubblico si sono ben guardati dal rifiutare nomine e incarichi, politici, anche nelle società pubbliche tanto criticate.
L’esito referendario, è vero, ha profonde motivazioni politiche, quelle vere, quelle con la P maiuscola. La privatizzazione dei servizi pubblici locali ha pure motivazioni politiche ma quelle degli interessi di “bottega”.
Qualcuno vuole i servizi pubblici privati. Ma, sono pubblici o sono privati? Sono pubblici perché devono essere gestiti nell’interesse generale, di tutti. Se fossero privati sarebbero gestiti nell’interesse particolare, dei soci, con obiettivo il profitto e non il servizio, è la natura delle società private.