remova
  sabato 27 aprile 2024 11:42
Valsecchi Remo rid
Remo Valsecchi
cittadino
quando io muoio, non piangere per me, fai quello che facevo io e continuerò a vivere in te
[Ernesto "Che" Guevara]
Che cos'è il popolo? Tutto. Che cosa è stato finora nell'ordinamento politico? Nulla. Che cosa chiede? Chiede di essere qualcosa.[1789 - Emmanuel Joseph Sieyès]

L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavo

La nostra Costituzione affronta la questione del lavoro in modo di superare ogni distinzione sociale con una formulazione di grande respiro e prospettiva che la politica, ma anche le rappresentanze sindacali e le Associazioni di categoria, non hanno saputo cogliere ed hanno creato solo divisioni e contrapposizioni conflittuali che sono la vera causa e ragione delle disuguaglianze viste nei precedenti capitoli.
Se nell'articolo 1 si afferma che il fondamento di base della Repubblica è il lavoro, nell'articolo 4, fissato il principio del diritto al lavoro, aggiunge che "Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società", la combinazione del dovere di concorrere al progresso della società con la conseguente garanzia dei diritti avrebbe dovuto essere trainante per una giustizia sociale che non si è realizzata perchè l'egoismo e la rigida appartenenza ad espressioni ideologiche ha fatto prevalere la rivendicazione dei diritti.
L'art. 35, inoltre, stabilisce che "la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni" e non fa distinzioni tra lavoro fisico e lavoro intellettuale.
Il socialismo, che ha teorizzato la lotta di classe e la supremazia del lavoro sul capitale, ed il capitalismo, che ha attribuito al capitale la funzione trainante del sistema, sono l'errore del secolo scorso e sono entrambi falliti. I livelli occupazionali sono ai minimi termini e la disoccupazione ha raggiunto livelli insopportabili, specialmente tra i giovani, ed il capitalismo, ossia l'insieme dei mezzi di produzione, le imprese, è stato emarginato dalla finanza che da strumento di finanziamento, si è trasformata in mercato ed ha trasformato i mercati reali in strumenti del mercato finanziario e di speculazione.
Ugo La Malfa, nell'intervista di Alberto Ronchey per il Corriere della Sera sulla crisi del capitalismo, si espresse in questo modo:
"Davvero i sistemi capitalisti e socialisti si distinguono in base alla proprietà privata o pubblica dei mezzi di produzione? Eppure le sinistre in genere, anche quelle critiche, cosiddette ideologicamente aggiornate, considerano capitalisti i paesi in cui c'è un sistema produttivo con la proprietà privata che fa muovere il meccanismo. Perché io, invece, considero il meccanismo neutrale? Perché un sistema come l'altro subisce gli impulsi della struttura politica e della lotta sociale. Ormai la teoria che considera le forze politiche e anche, quelle sindacali come sovrastrutture, mentre la struttura fondamentale sarebbe quella capitalistica, mi sembra del tutto priva di fondamento.
Ci sono forze politiche e forze sociali che danno degli impulsi. Naturalmente gli impulsi dipendono dal carattere delle singole forze. Ora, questo sistema capitalistico è stato capace di ricevere impulsi. Cioè, quando noi parliamo di quello che hanno fatto le socialdemocrazie diciamo che hanno corretto il capitalismo. Più precisamente, quali tipi di impulsi hanno dato? Poiché non reputavano che la distinzione fra proprietà privata o pubblica fosse un dato fondamentale, e quindi potevano instaurare proprietà nazionalizzate ma potevano anche non farlo, queste forze politiche e sociali hanno provocato una ridistribuzione del reddito".
Sempre secondo La Malfa "Non è il sistema che non riesce a risolvere i problemi, sono i governi che non riescono più a governare".
Se i governi non riescono a governare la responsabilità è politica perchè non è in grado di fornire indirizzi all'esecutivo ed il sistema si blocca creando ingiustizie, diseguaglianze e povertà.
Se, poi, l'economia, completamente fuori binario, dopo la deregulation reaganiana e thatcheriana, di fine anni '80 del secolo scorso, rafforza, rendendole quasi egemoni, le teorie neoliberiste di cui i processi di privatizzazione delle funzioni pubbliche sono un emblema, il percorso si chiude, la finanza diventa la padrona dell'economia mondiale, le multinazionali diventano centri economici e di potere, la ricchezza si concentra nelle mani di poche persone ed il lavoro, non solo quello degli operai e dei contadini, secondo la tradizione socialista, ma tutto, anche quello delle imprese, in particolare le piccole e medie, lontane dalla finanza ma artefici della crescita, anche sociale del Paese sino agli anni '80 del secolo scorso, subiscono soprusi e vessazioni dovendo subire chi impone le regole che non è la politica ma il mercato non regolato dallo Stato nonostante l'art. 41 della Costituzione.
La politica non dovrebbe mai dimenticare che gli Stati Uniti affrontarono e risolsero i problemi della grande depressione del 1929 con le riforme economiche e sociali di stampo keynesiano promosse da Franklin Delano Roosevelt. mentre le politiche economiche del post deregulation stanno creando le condizione per una nuova grande depressione ma, questa volta, planetaria.

 Il lavoro

Il lavoro è un diritto e un dovere ma anche lo strumento per la soddisfazione dei bisogni, non solo quelli primari ma anche quelli che migliorano la qualità vita, compresa l'abitazione, l'istruzione e la salute ma anche il tempo libero e lo svago sono diritti che il lavoro deve garantire mentre lo Stato deve garantire quelli che sono bisogni di naturale generale che rientrano nelle sue funzioni. È il lavoro che permette di elevare la qualità della vita umana e, pertanto,  oltre a creare le condizioni per consentirne l'accesso è necessario che sia abbinato ad un'equa retribuzione o compenso.
Su questo aspetto la soluzione è più complessa anche per la presenza di interessi contrastanti, quello delle imprese, che per ragioni di competizione nei mercati ma anche perchè lo scopo dell'impresa è il profitto, hanno necessità ed interesse ad avere costi contenuti, e quello del lavoratore che deve soddisfare i propri bisogni ma, per effetti inflazionistici con una costante riduzione del potere d'acquisto delle proprie retribuzioni o compensi, ne vede sempre più compromessa la possibilità.
Come conciliare le diverse esigenze? Tocca alla politica, ossia al Governo del Paese o meglio ai nostri Parlamentari trovare soluzioni che non siano semplici interventi tampone che possono solo risolvere solo le esigenze del momento.
rival retribuzioni prezzi consumofonte: IstatSe la soluzione si deve trovare in una situazione conflittuale dove da una parte stanno operai e contadini, in una logica socialista, e dall'altra parte le imprese, nella logica capitalista, cioè tra avversari e non tra parti dello stesso problema, la soluzione sarà un compromesso ed il risultato non risolverà nulla perchè l'aumento riconosciuto ai lavoratori sarà un costo per l'impresa che trasferirà sul prezzo dei beni o dei servizi, e non potrà fare diversamente per evitare il rischio di default, ed il lavoratore avrà una maggiore retribuzione o compenso ma anche un minore loro potere di acquisto e, se sarà fortunato, non cambierà nulla come la tabella evidenzia.
Secondo l'Istat, con qualche dubbio per la correttezza dei dati, come vedremo di seguito, la retribuzione media degli operai nel 1992, è stata di L.25,165 milioni, pari a € 12.996,6 e, nel 2021, sempre secondo Istat, è stata di € 23.672 quasi uguale al valore rivalutato cioè allo stesso potere di acquisto del 1992. 
Quando nel 1992 venne bloccato il meccanismo di adeguamento delle retribuzioni mediante la "scala mobile", con la motivazione che la stessa era causa dell'inflazione, ed era vero, sarebbe stata necessaria un azione politica, che non c'è stata, a garanzia del potere d'acquisto.
Oltretutto sia la retribuzione media del 2021, come probabilmente quella del 1992, non sono reali perchè il meccanismo della determinazione è un assurdo essendo una retribuzione media che, come tutte le medie non è lo specchio della situazione, infatti nella tabella Istat "retribuzione contrattuale di cassa per dipendente - base dicembre 2015", per la sola "qualifica - operaio - professionale del dipendente" si passa dalla più alta, quella del settore della estrazione di petrolio greggio di € 38.383 a quella dell'istruzione prescolastica di € 18.510, meno della metà. Non interessano i criteri e le ragioni della differenza che possono anche corrette in funzione delle competenze e della professionalità, il problema sta nel fatto che la media, e nemmeno la retribuzione mediana, rappresenta la realtà.
Peraltro, come precisa la stessa Istat nel "scheda standard di qualità" illustra i criteri utilizzati, ossia "Nella struttura assunta per la nuova base di riferimento si tiene conto, mensilmente, del trattamento economico contrattuale di 2.855 figure professionali individuate, all'interno di ogni contratto, dalla qualifica e dai livelli di inquadramento a cui corrisponde una diversa misura retributiva tabellare di base" e, inoltre, dall'esame dei dati della tabella, si rileva che la media è una semplice aritmetica che non tiene del numero degli addetti. In sostanza si tratta di una analisi delle figure professionali nei singoli contratti estranea alla quantificazione di una retribuzione media nel Paese.
redditi sino
€ 20.000
redditi
da € 20.000
a € 50.000
redditi
da € 50.000
a € 100.000
redditi oltre
€ 100.000
totali
totale retribuzioni €/mln 110.568,1 250.772,6 59.021,9 38.453,4 458.816,0
numero lavoratori 11.496.773 9.337.230 1.051.977 272.797 22.158.777
quota lavoratori 51,88% 42,14% 4,75% 1,23% 100,00%
retribuzione media € 9.617 26.857 56.106 140.960 20.706
fonte: Ministero dell'Economia e delle Finanze
Non trovando dati più circostanziati e precisi, anche rilevati per campione, modalità che non mi convince perchè il campione può essere rappresentativo a o meno, sono ricorso alle tabelle del Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) consente, attraverso i dati delle dichiarazioni delle persone fisiche per il gruppo "lavoro dipendente e assimilati" ed essendo diviso per classi redditi, di rilevare i redditi da lavoro dipendenti per raggruppamenti che di fatto sono le retribuzioni lorde percepite, e purtroppo sono ancora una media ma un poco più indicativa. Del resto le classi di reddito previste dal MEF sono 34 e la loro rappresentazione completa sarebbe stata dispersiva e di non agevole lettura.
Se il 51,88% dei lavoratori ha redditi che sono meno della metà del reddito medio accertato da Istat, un altro 42,14% ha un reddito prossimo a quello accertato e potremmo definirlo "retribuzione mediana", mentre l'altro 5,98% ha redditi molto elevati tanto da far diventare, con la media, quasi ricchi anche i poveri, qualcosa non funziona.
Com'è possibile che 11,5 milioni di lavoratori dispongano complessivamente di 110 miliardi delle retribuzioni mentre 1,3 milioni ne dispongano di 97 miliardi?
La questione del salario minimo deve essere affrontata con la sua istituzione perchè necessaria per evitare abusi e soprusi che sono un male diffuso in certe categorie e non costituisce un problema per gli imprenditori corretti, ma saranno necessari anche
  • i controlli attraverso organismi pubblici per l'accertamento del rispetto delle regole e per evitare loro aggiramenti approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
  • le azioni di contenimento dell'inflazione non solo attraverso manovre monetarie per influenzare la domanda e l'offerta ma in modo di evitare speculazioni, come sta accadendo con i servizi energetici e le materie prime e riducendo il trasferimento di costi impropri alla famiglie e alle imprese.
  • la revisione e, magari, anche l'eliminazione delle agenzie fornitrici di lavoro temporaneo, le agenzie interinali, che fanno profitti sul lavoro delle persone in una sorta di caporalato. Non serve la intermediazione di mano d'opera, serve che lo Stato affronti il problema del collocamento che gli compete richiedendo anche maggiore qualità professionale agli addetti. 

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