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Discorso all'Assemblea Costituente contro la pena di morte

Essendo stata portata ad Atene la notizia che nella città di Argo erano stati condannati a morte alcuni cittadini, il popolo si recò nei templi per scongiurare gli dei onde distogliessero gli Ateniesi da pensieri così crudeli e così funesti.
Io vengo a pregare non gli dei, ma i legislatori, che debbono, essere gli organi e gli interpreti delle leggi eterne che la Divinità ha dettate agli uomini, di cancellare dal Codice dei Francesi le leggi di sangue che comandano i delitti giuridici, e che vanno contro le loro nuove abitudini e la loro nuova costituzione.
Io voglio provàr loro:
  • che la pena di morte è essenzialmente ingiusta;
  • che essa non è la più reprimente delle pene, e, più che impedire i delitti li moltiplica.
Fuori della società civile, se un nemico accanito viene ad attentare ai miei giorni, e, respinto venti volte, ritorna a distruggere il campo che le mie mani hanno coltivato, poiché io non posso che opporre le mie forze individuali alle sue, bisogna che io perisca o che uccida, e la legge della difesa naturale mi giustifica e mi approva. Ma nella società, quando la forza generale è armata contro un solo individuo, qual principio di giustizia può autorizzare a dar la morte? Quale necessità può assolverla? Un vincitore che fa morire i suoi nemici, presi prigionieri è chiamato barbaro! Un uomo che fa sgozzare un bambino, ch'egli può disarmare e punire, parrebbe un mostro! Un accusato che la società condanna non è per essa che un nemico vinto ed impotente; le è dinanzi un uomo adulto, ma più debole di un fanciullo. Così agli occhi della verità e della giustizia, queste scene di morte che essa ordina con tanto d'apparecchio, non sono altro che vili assassinii, che dei delitti solenni, commessi, non dagli individui, ma dalle nazioni intiere, con delle forme legali. Per quanto crudeli, per quanto stravaganti sieno queste leggi, non meravigliatevi più. Sono l'opera di qualche tiranno; sono le catene che opprimono la specie umana; sono le armi con le quali la soggiogano; esse furono scritte col sangue. "Non è, affatto permesso dare la morte a un cittadino romano. " Tale era la legge che il popolo aveva sostenuto: ma Silla vinse e disse: Tutti coloro che si sono armati contro di me sono degni di morte. Ottavio ed i compagni suoi di delitti confermarono questa legge. Sotto Tiberio, aver lodato Bruto fu un delitto degno di morte. Caligola condannò a morte coloro che erano tanto sacrileghi da svestirsi dinanzi all'immagine dell'Imperatore. Quando la tirannia ebbe inventato i delitti di lesa maestà, che erano o delle azioni indifferenti o degli atti eroici, chi avrebbe osato pensare che potevano meritare una pena più dolce della morte, a meno di render sé stesso colpevole di lesa maestà?
Il fanatismo, nato dall'unione mostruosa dell'ignoranza col despotismo, allorché inventò a sua volta i delitti di lesa maestà divina, quando concepì nel suo delirio di vendicare Iddio, volle esso pure offrire del sangue, mettendosi al livello dei mostri.
La pena di morte è necessaria, dicono i partigiani degli antichi barbari usi; senza di essa non ci sono freni abbastanza potenti contro i delitti. Chi ve lo ha detto? Avete calcolato tutte le specie di mezzi con i quali le leggi penali possono agire sulla sensibilità umana? Ahimè! prima della morte, quanti dolori fisici e morali l'uomo deve soffrire! Il desiderio di vivere si inchina davanti all'orgoglio, la più imperiosa delle passioni che il cuore umano; la più terribile di tutte per l'uomo sociale, è l'obbrobrio, la schiacciante testimonianza dell'esecuzione pubblica.
Quando il legislatore può colpire i cittadini in tanti lati ed in tanti modi, come può credersi ridotto ad impiegare la pena di morte? Le pene non sono fatte per tormentare i colpevoli; ma per impedire il delitto, il quale teme appunto di incorrere nelle pene. Il legislatore che preferisce la orte e le pene atroci ai mezzi più dolci che sono in suo potere, oltraggia la delicatezza pubblica, affievolisce il senso morale nel popolo ch'egli governa, come un poco abile precettore che, coll'uso frequente di modi crudeli abbrutisce e degrada l'animo del suo allievo, il legislatore abusa ed indebolisce le energie del governo, volendo troppo piegare l'arco del potere. Il legislatore che stabilisce questa pena rinuncia a quel principio salutare, che " il mezzo più efficace per reprimere i delitti è quello di adattare le pene al carattere delle differenti passioni che causano il delitto", e di punirle, per così dire. per sé stesse. Esso confonde tutte le idee, turba tutti i rapporti e contraria apertamente lo scopo delle leggi penali.
La pena di morte è necessaria, dite voi! Se è così, perché parecchi popoli hanno saputo farne a meno? Per quale fatalità questi popoli sono stati i più saggi, i più felici, i più liberi? Se la pena di morte è la più appropriata per prevenire i grandi delitti, bisogna dunque che essi sieno stati molto rari presso i popoli che l'hanno adottata e prodigata. Invece accade precisamente tutto il contrario.
Guardate il Giappone: in nessuna parte del mondo si è tanto prodighi della pena di morte, si è tanto prodighi di supplizi; in nessuna parte del mondo i delitti sono così frequenti e cosi atroci. Si direbbe che i Giapponesi vogliono disputare di ferocia con le leggi barbare che oltraggiano e che irritano. Le repubbliche della Grecia, ove le pene erano molto moderate, e dove la pena di morte era infinitamente rara o sconosciuta, forse che avevano più delitti e meno virtù dei paesi governati da leggi sanguinarie? Credete voi che Roma fosse funestata da un maggior numero di delitti, quando, nei giorni della sua gloria, la legge Porcia ebbe distrutte le pene severe portate dai re e dai decemviri, di quanti se ne consumavano quando Silla le fece rivivere, e sotto gli imperatori che ne elevarono il rigore ad un eccesso degno della loro infame tirannide? La Russia è stata forse sconvolta, dacché il despota che la governa ha intieramente soppressa la pena di morte, come s'egli volesse espiare con questo atto di umanità e di filosofia il delitto di tenere dei milioni di uomini sotto il giogo del potere assoluto?
Ascoltate la voce della giustizia e della ragione; essa ci grida che i giudizi umani non sono mai abbastanza certi, perché la società possa condannare a morte un uomo condannato da altri uomini soggetti ad errare. Se anche voi aveste immaginato il più perfetto ordinamento giudiziario, se aveste trovati i giudici più integri e più illuminati, sarà sempre possibile un errore, non evitereste assolutamente la prevenzione.
Perché impedire il mezzo di riparare? Perché condannate all'impossibilità di tendere una mano soccorritrice all'innocente oppresso? Che importano gli sterili rimpianti, le riparazioni illusorie che voi accordate ad un'ombra vana, ad una cenere insensibile? Essi sono tristi testimonianze della barbara temerità delle vostre leggi penali. Togliere all'uomo la possibilità di espiare il suo malfatto col pentimento o con degli atti di virtù, chiudergli senza pietà il ritorno alla virtù, alla stima di sé stesso, adoperarsi per farlo più presto scendere, per così dire, nel sepolcro ancora tutto avvolto dalla macchia recente del suo delitto, è ai miei occhi una delle più raffinate crudeltà.
Il primo dovere del legislatore è di formare e di conservare gli usi pubblici sorgenti di tutte le libertà, sorgenti di tutta la felicità sociale; allorché per giungere ad uno scopo particolare, egli si allontana da questo scopo generale ed essenziale, commette il più grossolano ed il più funesto degli errori.
Bisogna dunque che le leggi presentino sempre ai popoli il modello più puro della giustizia e della ragione. Se, al posto della severità potente, della calma moderata che deve caratterizzarle, esse mettono la collera e la vendetta; se esse fanno colare del sangue umano che possono risparmiare e che non hanno diritto di spargere; se esse espongono agli occhi del popolo scene crudeli e cadaveri martoriati dalle torture, allora alterano nel cuore dei cittadini le idee del giusto e dell'ingiusto, allora fanno germogliare nel seno della società dei pregiudizi feroci che alla loro volta ne producono degli altri.
L'uomo non è più per l'uomo un oggetto altamente sacro, si ha una idea meno grande della sua dignità, quando l'autorità pubblica si ride della vita umana. L'idea dell'assassinio ispira meno spavento, quando la legge stessa ne dà l'esempio e lo spettacolo; l'orrore del delitto scema, poiché lo si punisce con un altro delitto. Guardatevi bene dal confondere l'efficacia delle pene con l'eccesso della severità; l'una è assolutamente l'opposta dell'altro. Tutto asseconda le leggi moderate, tutto cospira contro le leggi crudeli.
Si è osservato che nei paesi liberi i delitti erano più rari, perché le leggi penali eran più dolci. I paesi liberi sono quelli nei quali i diritti dell'uomo sono rispettati, e dove di conseguenza le leggi sono giuste. Dappertutto dove esse offendono l'umanità con un eccesso di rigore, si ha la prova che la dignità dell'uomo non è conosciuta, che quella del cittadino non esiste; si ha la prova che il legislatore non è che un padrone che comanda a degli schiavi, e che li colpisce spietatamente seguendo la sua fantasia.
Io concludo perché la pena di morte sia abrogata.
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nota: Il 10 giugno l'Assemblea si pronunciò e decise, quasi all'unanimità, di non abrogare la pena di morte.
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commento sulla posizione di Robespierre trovata sulla rete: "Credo che non ci sia migliore argomento di questo discorso per dimostrare la stupidità di certe posizioni ideali, tutte fatte di belle, ma vuote parole, di concetti astratti privi di ogni contenuto, di fantasticherie filosofiche di buoni a nulla, convinti di poter spiegare e dirigere il mondo solo perché parlano. Poi la realtà, molto dura e molto cruda, prevale e ci costringe a constatare che i problemi non si risolvono con le chiacchiere, che il male si vince solo col male, che il buonismo serve solo a far prevalere i prepotenti e gli sfruttatori."
Sono commenti, forse strumentali che non tengono conto delle reali virtù di un uomo che, in tutta la sua vita, è stato a servizio della democrazia e dei cittadini, che credeva in quello che stava proponendo, l'ha ampiamente dimostrato. Bisogna, però, cercare di conoscerlo meglio, attraverso i suoi scritti e le sue biografie, e, ancora di più conoscere meglio quello che  ha fatto per tutta l'umanità. Forse più di ogni altro esponente politico di ogni epoca. Ha contribuito a creare le condizioni per realizzare le democrazie moderne, che, forse, non sono più democrazie, le Costituzioni che, anche oggi, rappresentano la tutela dei diritti delle libertà e dei doveri. Nonostante le degenerazioni reazionarie, dell'immediato post rivoluzione e dei secoli successivi, quel modello di società in cui ha creduto e per il quale ha dato la vita, continua ad esistere. Quei principi di democrazia, che vengono dall'antica Grecia, ignorati fino ad allora, le libertà individuali e la centralità dell'individuo, in quanto essere dotato di ragione e intelligenza, che l'illuminismo, Robespierre, ne è stato uno dei massimi esponenti, ha contribuito a realizzarli.
La sua dichiarazione, il giorno della decisione dell'Assemblea Nazionale, della pena di morte per Luigi XV è esemplificativa del suo stato d'animo:
"Sì, la pena di morte in generale è un delitto e ciò per l'unica ragione che essa non può essere giustificata in base ai princìpi indistruttibili della natura, salvo il caso in cui sia necessaria alla sicurezza degli individui o del corpo sociale. [...] Ma quando si tratta di un re detronizzato nel cuore di una rivoluzione tutt'altro che consolidata dalle leggi, di un re il cui solo nome attira la piaga della guerra sulla nazione agitata, né la prigione, né l'esilio, possono rendere la sua esistenza indifferente alla felicità pubblica, e questa crudele eccezione alle leggi ordinarie che la giustizia ammette può essere imputata soltanto alla natura dei suoi delitti. Io pronuncio con rincrescimento questa fatale verità. Io vi propongo di decidere seduta stante la sorte di Luigi. Per lui, io chiedo che la Convenzione lo dichiari da questo momento traditore della nazione francese e criminale verso l'umanità."
Discorso alla Convenzione per la condanna a morte di Luigi Capeto - 03 Dic 1792
Segue il periodo del "Regime del Terrore", un periodo lontano di cui è difficile espimere un giudizio su una situazione riportata, magari in modo non corretto e di parte, come altri fatti di quel periodo. Io preferisco cercare di capire dalle parole, dalle sue dichiarazione e dagli eventi successivi, compendiandola con la bibliografia. E' purtroppo vero che lo studio, nelle scuole, di quel periodo, una pietra miliare nella storia dell'umanità, è, credo, volutamente superficiale. Perchè non ci hanno mai spiegato, che, in Francia, l'Ancien Regime, le altre monarchie, nel resto d'Europa, hanno fatto del popolo, del "tiers état", dei servi, se non degli schiavi della nobiltà e del clero? Perchè la scuola non ha spiegato il signficato dell'affermazione di Emmanuel Joseph Sieyès, un abate, "Qu'est-ce que le Tiers Etat? Tout. Qu'a-t-il été jusqu'à présent dans l'ordre politique? Rien. Que demande-t-il? A y devenir quelque chose". Forse avremmo cominciato la comprendere la situazione di quel periodo e le aspettative dei cittadini che vivevano nella indigenza più totale e che erano utili, alle monarchie, per lavorare e per fare le guerre.
Robespierre definì la rivoluzione francese in questo modo. "Le rivoluzioni che, sino a noi, avevano cambiato la faccia degli imperi non avevano avuto per oggetto che un cambiamento di dinastia o il passaggio del potere da un uomo solo a più persone. La Rivoluzione francese è la prima che sia stata fondata sulla teoria dei diritti dell'umanità e sui principi della giustizia. Le altre rivoluzioni esigevano soltanto dell'ambizione; la nostra impone delle Virtù.". È evidente che Robespierre ha idealizzato la rivoluzione come strumento di liberazione e crescita degli uomini e dei cittadini. Se la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino, fortemente voluta da Robespierre, all'art. 35 recita "Quando il Governo viola i diritti dei popolo, l'insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte dei popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri.", non sono parole, sono atti formali e ufficiali, gli obiettivi della politica non sono personali ma sono la difesa e tutela del cittadino. Oggi, in queste pseudo-democrazie, nessun partito politico avrebbe la forza ed il coraggio di accettare un simile principio.
Solo sei mesi prima dell'inizio del Regime del Terrore, dopo la decapitazione di Luigi XVI, era stata istituita la Repubblica, I girondini dai loro dipartimenti istigavano alla rivolta contro il Governo centrale, aiutati dalla ricca borghesia locale, timorosa di perdere le proprie ricchezze, e dai nostalgici del passato regime. Le potenze straniere erano sui confini, facendo temere un'invasione della Francia e aiutando i rivoltosi. Gli "Arrabiati" di Hebert, proto-comunisti, si erano messi contro la borghesia, quello che è successo dopo nei comunisti, indebolendo il popolo della rivoluzione alla quale anche la borghesia ha partecipato. La situazione sta degenerando con un rischio per il Paese, per la Repubblica e per la Rivoluzione. Che cosa fa un vero e sincero difensore del popolo? Difende le istituzione con gli unici strumenti di difesa di cui dispone. E' una guerra civile che non ha provocato. Perchè nessuno dice che le vittime del "Terrore" non sono i cittadini, ma gli avversari politici che vogliono sovvertire lo Stato repubblicano e democratico in modo armato. Non è un caso che il 26 luglio, a seguito di una congiura di palazzo, Robespierre viene arrestato, sembra che le sue uniche parole furono "La Repubblica è perduta… i briganti trionfano", e che il 28 luglio, 9 termidoro, venne ghigliottinato.
Non è un caso che, 1791, ricordando Rousseau, disse: "O Rousseau, io ti vidi nei tuoi ultimi giorni [...] ho contemplato il tuo viso augusto [...] da quel momento ho compreso pienamente le pene di una nobile vita che si sacrifica al culto della verità, e queste non mi hanno spaventato. La coscienza di aver voluto il bene dei propri simili è il premio dell'uomo virtuoso [...] come te, io conquisterò quei beni, a prezzo di una vita laboriosa, a prezzo anche di una morte prematura".
Non è un caso che il reazionario per eccelenza, Napoleone Bonaparte, solo due anni dopo iniziò il suo percorso verso l'impero, provocando la morte di qualche milione di francesi solo per ambizioni personali.
Non è un caso che Napoleone Bonaparte, il 10 maggio 1802, ripristinò la schiavitù nelle colonie che erano state abolite, per volontà di Robespierre, il 4 febbraio 1794, cinque mesi prima della sua morte. Che anche questo abbia influenzato la congiura di palazzo contro di lui?
Non è un caso che successivamente ci fu la rivoluzione bolscevica, figlia degenere dell'illuminismo, che provocò decine di milioni di morti solo per ragioni personali dei propri capi.
Non è un caso che seguirono regimi autoritari, nel XX secolo, in tutto il mondo, che fecero vittime tra la popolazione per difendere il proprio potere personale e che diedero origine a quella cultura razzista, vergognosa e disumana che, ancora ci assilla.
Forse, se Robespierre non fosse stato eliminato e avesse realizzato una vera democrrazia, quella in cui credeva, non avremmo docuto ricordare quei drammi e forse non vedremmo, oggi, persone annegare nel mediterraneo solo per per odio contro l'umanità.
Quando si parla di Terrore, il riferimento è sempre Robespoerre, gli altri sono tutti brave persone.

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